domenica 18 febbraio 2007

Tratto dal libro “Quando i genitori si separano” di Françoise Dolto

I RAPPORTI CON I NUOVI PARTNER DEI GENITORI


Perché il bambino continui a maturare quando uno dei genitori divorziati vive con un’altra persona, è necessario che il nuovo partner risulti simpatico al bambino?
La situazione varia a seconda del bambino e a seconda del partner. Che il primo percepisca il secondo con piacere oppure con dispiacere, è cosa alquanto irrilevante per l’inconscio. Per l’inconscio del bambino, la cosa veramente necessaria è che ci sia un adulto ad impedirgli di avere un’intimità totale con il genitore. Questo nuovo compagno del genitore gli permette di vivere l’Edipo, se non lo ha vissuto tra i suoi due genitori perché questi si sono separati troppo presto; oppure gli permetterà di viverne una nuova variante, con i relativi conflitti affettivi di amore/odio, che riguardano in modo contraddittorio e in modi diversi quei due adulti, al tempo stesso modelli e rivali per lui.

Quali sono gli scogli principali nei rapporti tra il patrigno o la matrigna da una parte e il bambino dall’altra?
Secondo me, gli scogli non sono dalla parte del bambino; le difficoltà possono provenire da sua madre – gelosa, ad esempio, del fatto che il secondo matrimonio dell’ex marito sia fecondo e del fatto che suo figlio voglia bene alla rivale vincente. Questo può accadere anche se la madre si è risposata e ha avuto nuovamente dei figli.

Penso ad un caso che mi pare illustrare perfettamente quanto hai appena detto. Si tratta di un maschietto di quattro anni: i suoi genitori si erano separati mantenendo, all’apparenza, dei buoni rapporti. Lui viveva con la madre. Il padre si era risposato. Dopo la nascita del primo figlio di questa nuova coppia, la madre di questo piccolo ha rifiutato bruscamente, e senza alcuna spiegazione, di mandarlo dal padre per i week-end. Il bimbo ha cominciato allora a soffrire di otiti a ripetizione e, simultaneamente, di una specie di debolezza alle gambe, come se avesse perduto un appiglio.
Un altro scoglio può presentarsi se cambia l’atteggiamento del padre di un bambino quando questi ha un figlio dalla sua nuova compagna. Il figlio del primo matrimonio può ricordargli qualcosa dell’atmosfera dolorosa degli anni in cui fu costretto a rompere. Reciprocamente, lui stesso verrà percepito all’improvviso come molto esigente – spesso a ragione – dal bambino.
Le difficoltà in queste situazioni non provengono dal bambino. Può essere aiutato a superarle quando incontra abbastanza “psicologhe” da fargli capire le difficoltà provocate con ogni probabilità, nei due genitori, da una nuova nascita (di un fratellastro o di una sorellastra).

Quando, senza risposarsi, un genitore riprende una vita di coppia con un nuovo partner, quali possono essere gli effetti delle presenza di quest’ultimo sul bambino?
Si tratta di una situazione triangolare che non è legalizzata. In ogni modo, il bambino ha bisogno che diversi adulti, di sessi differenti, si occupino di lui dai due anni e mezzo, tre anni, i poi. Anche quando è piccolissimo, è felice di vedere diverse immagini di uomini e donne.
E’ meglio che un bambino dica: “Io ho tre papà”, piuttosto che: “La mia mamma vive da sola, io non ho un papà”. A condizione che egli sappia per conto suo di avere un padre, che forse non conosce e che è unico, occorre dargli la libertà di parola di dire: “Ho tre papà”. Sarà una autodifesa nei confronti della curiosità dei suoi compagni. In ogni modo, la madre deve dirgli: “Hai un padre come tutti, solo che tu non lo conosci”. Ma chiamare tre persone “papà” è meglio che non avere un “papà” né un padre di nascita, noto o ignoto. Un papà non è obbligatoriamente il padre, genitore, il padre legale o adottivo. Si possono avere anche più madri, ma si ha sempre solo una madre di nascita, nota o ignota.

Hai appena detto che un papà non è obbligatoriamente un padre naturale, legale o adottivo. Questo mi ricorda una storia riportata dalla stampa. Una ragazzina chiama “papà” il nuovo partner della madre. Suo padre aspetta che lei abbia sette anni per spiegarle che lui è il padre, e che lei quindi deve chiamarlo “papà”. Non appena torna la madre, e in presenza del padre, chiama l’amico della madre “il mio caro papà”. E’ l’ultima volta che rivedrà suo padre: questi non tornerà più.
Chiama “papà” l’amico della madre; perché no? Uno che pensa che la legge venga fatta dalla figlia, fino al punto di concludere che questa figlia gli ritira il diritto di essere padre mentre lei ha parlato solo di papà, è veramente un padre fragile! Questo prova che quel che dice la figlia è la sua verità: quel padre non si è comportato da padre.

* * *

“Io e mia sorella non vogliamo che tu ti risposi”, dicono certi bambini alla madre.
Costei può rispondere solo: “Non mi sposo per farvi piacere oppure per farvi arrabbiare. Mi sposo perché mi è necessario. Io amo un uomo, e voglio vivere con lui. E’ davvero un peccato che questo non vi faccia piacere, ma voi non siete obbligati a vivere con noi”.

Se la madre obbedisce ai figli, quali possono essere le conseguenze?
I figli che parlano così restano spesso bambini a lungo, perché la madre ha obbedito loro come se fossero i portavoce di una legge infantile, che sarebbe nel cuore di ogni donna: amare un unico uomo (questa credenza deriva forse dal fatto che ognuno di noi ha solo un padre e solo una madre, anche se può avere molti papà e molte mamme). Nel primo esempio, era la figlia a dettar legge al padre; in questo secondo esempio, è la figlia a dettar legge alla madre.
La cosa terribile per questi figli è che spesso, alcuni anni dopo, la madre dice loro: “Mi sono sacrificata per voi, per voi non mi sono risposata”. La loro vita viene a trovarsi come paralizzata da un’embolia dovuta al senso di colpa: la circolazione degli affetti e la corrente lipidica vengono impedite. Di fatto, avranno la madre a carico per il resto della vita, anche se saranno capaci di evolversi e di sposarsi.

All’inverso, certi figli chiedono alla madre, al padre di risposarsi: “Perché non ti sposi con il mio maestro?”, chiedeva un ragazzino di sei anni alla madre. La madre di una ragazzina di quattro anni e mezzo se n’era andata di casa; la ragazzina diceva alla sua maestra: “Perché non vieni a passare il week-end con il mio papà?”.
Sono bambini che vorrebbero essere liberati dalla violenza delle loro pulsioni incestuose nei confronti del genitore con cui vivono; questo perché quel genitore pare non aver bisogno di adulti e si ripiega sul bambino; più spesso ancora, perché l’adulto vive di nuovo dal proprio padre o dalla propria madre – dalla nonna paterna se è il padre; dalla nonna materna se è la madre. Questa regressione del padre o della madre allo stato infantile ai loro occhi ne blocca l’evoluzione.
Capita che il genitore continuo abbia una relazione all’esterno e che non lo dica al bambino. E’ un peccato, perché, per potersi sviluppare, il bambino ha bisogno di parole che lo rassicurino appunto su questo: che l’adulto ha una relazione privilegiata con un altro adulto.

Esistono madri che concedono un largo dovere di visita al loro ex marito per ricevere il loro amante in assenza dei figli.
E’ una buona cosa, ma lo dicono sempre ai figli. La parola che occorre dir loro è “fidanzato”. La madre può aver molti “fidanzati”; il bambino, da parte sua, ha bisogno di avere una parola. Lei deve spiegargli che quella parola significa: “Forse ci sposeremo. Nell’attesa, non so ancora bene. Io e un signore [“io e una signora”, se è il padre a parlare di una “fidanzata”] ci amiamo. Se la cosa diventa seria, ne verrai informato”. I bambini hanno bisogno di disporre dei termini classici. “Fidanzato” è una cosa diversa da “amico”. Per un bambino, è una parola che significa una promessa di matrimonio. “Amico”, per lui, significa “compagno [di giochi]”, un termine che non comprende la dimensione sessuale, mentre è il contrario per un adulto. Quando una donna dice: “Ho un amico”, la gente crede che si tratti di un amante.
Per tornare al bambino che chiede alla madre di sposare il maestro di scuola, esistono madri che sposano l’insegnante del figlio proprio in seguito a questa richiesta.
“Dato che lui gli vuol tanto bene, perché no?” E’ un’idiozia!

E’ utile che il patrigno (la matrigna) ricordi al bambino di non essere suo padre (sua madre)?
Bisogna tener conto del contesto nel quale il bambino ha vissuto con i suoi genitori, in particolare se questi continuano ad avere grosse difficoltà nelle relazioni. In certi casi, potrebbe essere necessario che il patrigno (o la matrigna) possa dire: “Io non ho niente contro tuo padre [tua madre]”; e:”Non ce l’ho con te perché sei suo figlio [sua figlia] e nemmeno perché gli [le] assomigli”. Si può sempre dire al bambino: “Hai un padre solo, quello che ti ha concepito, ma io sono disposto ad essere il tuo papà”; “Tu hai una madre sola, quella che ti ha concepito, ma io sono disposta ad essere la tua mamma”.
Le situazioni difficili con il patrigno o con la matrigna derivano molto spesso dal genitore con cui il bambino vive, per lo più la madre, più di rado il padre. Si direbbe che il genitore con cui il bambino vive non accetta bene i diritti che il suo nuovo coniuge si arroga quanto al suo ruolo educativo nei confronti del figlio di primo letto. Il bambino si accorge di questa ambivalenza. Quando lui si ribella alle parole del patrigno che limitano la sua libertà, oppure a certe espressioni critiche da parte della matrigna, sente che il suo genitore se ne avvantaggia. Se il genitore di nascita non è ambivalente e se, per esempio, si allontana dalla stanza per lasciare il suo nuovo coniuge tranquillo con il bambino, le cose possono sistemarsi molto rapidamente. Analogamente, se il bambino si lamenta con il padre: “Sì, si lo so che lei non può vedermi” – oppure con la madre: “Il tuo amante non mi può vedere” – il genitore di nascita può rispondere: “Se devi proprio fare storie, non ti potrò tenere con me, te ne andrai. – Sì, ma mio padre [madre] non mi vuole. – Non ci sono solo il padre e la madre, esistono delle soluzioni esterne”. E ci si accorge allora che quelle tensioni sono un tentativo di regressione ad una relazione in cui il bambino cerca ancora di dominare il genitore di sangue con cui vive.
Può darsi che lo statuto del bambino nei confronti del nuovo coniuge non sia chiaro, che non sia stato esposto logicamente e cono affetto da parte del genitore contiguo. Il bambino vive allora una specie di fluttuazione, se il padre, per esempio, non gli ha detto, parlando della nuova moglie: “E’ la tua matrigna, lei si è presa la responsabilità di educarti. Dal momento che sei a casa mia, penso proprio che la tua matrigna abbia voce in capitolo perché lei è a casa sua”. La matrigna diventa credibile agli occhi del bambino perché il padre le offre il suo appoggio simbolico. Si sentono sempre le madri dire al loro nuovo coniuge: “Non è tuo figlio, allora lascialo in pace”. Il patrigno non è credibile perché la madre non lo rende credibile.

Tuttavia può succedere che il bambino, forse a ragione, sopporti male il nuovo partner, che lo senta ostile.
Se è consapevole di questa ostilità e se può dirla, sarebbe bene che la madre, se è di lei che si tratta, gli dica: “Sei troppo infelice da quando vivo con Tizio. Potresti forse parlarne con tuo padre. Se vuoi vivere con lui, sarai costretto a lasciare la tua scuola, i tuoi compagni. Se lui accetta, e se la nuova moglie accetta, dovremo richiedere una modifica al giudice delle questioni matrimoniali. Se tuo padre rifiuta e se le cose non vanno meglio per te, cercheremo di sbrogliarcela per trovarti una buona sistemazione”. Se la madre non osa parlare al figlio o alla figlia, può farlo un’altra persona, per esempio il medico di famiglia.

Certe donne restano amiche esclusivamente di altre donne; talvolta sempre della stessa; analogamente, certi uomini stringono amicizia solo con altri uomini oppure con uno solo. Quali possono essere le ripercussioni di questa situazione sul bambino?
I bambini sanno che una coppia di donne o una coppia di uomini non può dare bambini. Dunque è una scelta, e occorre che sia chiaro questo: che è una scelta della madre o del padre, a seconda dei casi. Occorre che la madre o il padre lo dica e non lo nasconda, affinché il bambino abbia una spiegazione logica.

Oggi, non è necessario essere omosessuali per non avere bambini. Basta prendere la pillola.
Infatti. Ma le donne che prendono la pillola rischiano di apparire agli occhi dei loro figli come persone che hanno un potere mutilante o distruttore se il senso della contraccezione non viene loro chiaramente spiegato.
Quando le madri dicono: “Non voglio rischiare di avere altri figli, per questo prendo la pillola”, è già diverso. E’ certo che il fatto di essere tirato su da un adulto omosessuale appare una forma di regressione agli occhi del bambino, a paragone di ciò che questo adulto era prima, dato che ha avuto quel bambino.

La moltiplicazione delle separazioni legali, dei matrimoni successivi e dei cambiamenti di partner che questi implicano, permette ai bambini, si dice, di vivere là dove loro aggrada e di scegliere, al di fuori delle costrizioni tradizionali, i “genitori”, i “fratelli”, le “sorelle” che preferiscono.
Non sono d’accordo che si parli di scelta: si tratterebbe di criteri di gradimento o di non gradimento consci. Quando i genitori si separano, le difficoltà incontrate dal bambino nel suo sviluppo sono di ordine inconscio; gli effetti non si vedono nell’immediato, ma anni dopo. E’ la dinamica dell’inconscio.

sabato 17 febbraio 2007

FUNZIONI DELL'ISTINTO DI CONSERVAZIONE DELLA VITTIMA DEL TERRORE

FUNZIONI DELL'ISTINTO DI CONSERVAZIONE DELLA VITTIMA DEL TERRORE

Contributo al convegno "dalla parte della vittima" tenutosi a Milano, marzo 1978, realizzato dal Gruppo di Psicologia Giuridica (G.P.G.) della Facoltà di Medicina, Università degli Studi di Milano.
Lothar Knaak, Ascona
Esperienze
La mia esperienza personale quale vittima del terrore l'ho vissuta più di trent'anni fa, Quest'oggi sono stupito del comportamento inconscio, ma conseguente della «mia persona» durante i mesi ed anni critici della seconda guerra mondiale.
Mi sono salvato fuggendo da un Lager tipico per gli stati in guerra, e per mezzo di quest'atto d'autoliberazione ho potuto accettare il regime dei campi di profughi d'un paese non coinvolto nella guerra, con buon umore ed apprezzando il vantaggio d'un ambiente protettivo.
Ritengo quindi di parlare con cognizione di causa, trattando dell'istinto di conservazione tipico della vittima del terrore.
Parlavo tempo fa con un zoologo, il quale è stato aggredito in Kenia da un leone e ferito seriamente da una zampata e da un morso. Sulla scorta di questa sua esperienza egli affermava che le prede della belva non avvertono il dolore a causa della paralisi provocata dallo spavento.
E ciò è congruente con l'esperienza umana, riportandone però unicamente un aspetto, il quale indica che la fenomenologia della situazione psichica della vittima è pluriforme. La situazione singola ha un'altra dimensione nella realtà che non l'esperienza collettiva.
Le diverse situazioni nelle quali la vittima può venire a trovarsi variano, d'altra parte, a dipendenza delle condizioni preliminari. Si possono constatare per lo meno due categorie assai diverse fra di loro:
la vittima di un arbitrio prevedibile e la vittima del caso.
Nella categoria A) vale come condizione preliminare l'arbitrio quale principio, come noi lo conosciamo quando si constata la presenza di un regime dispotico.
Si ha l'impressione che l'arbitrio - in questo caso prevedibile- del regime assoluto trovi la propria legittimazione nell'esistenza del Superiore assoluto. La legittimazione di quest'ultimo, a sua volta, risiede proprio nella sua superiorità, la quale diviene nel contempo anche la causa di un suo inevitabile declino.
Maggiore è il dominio del Superiore assoluto, tanto più legittimo è il dispotismo. Relativizzandosi questo imperativo assoluto, pure la Sua legittimazione viene posta in dubbio.
Ciò risulta confermato dalla curva del successo - ascendente e declinante - dei regimi assoluti, dall'Hitlerismo al fascismo ed al bolscevismo, i quali avevano derivato la loro legittimazione direttamente dall'identificarsi delle masse in un Ego collettivo. Le vittime di questi regimi erano estranee non solo perché indicate come tali, ma anche perché esse stesse erano coscienti della loro estraneità, per la quale avevano per di più anche buone motivazioni. E proprio per la presenza di queste motivazioni il loro rischio era calcolabile. Esse erano infatti coscienti del loro ruolo come vittime. L 'accettazione di questo ruolo accentuava la loro coscienza del proprio valore. Ciò le predestinava al martirio.
La vittima di una causa imprevista non risponde a queste caratteristiche mancando la condizione necessaria della situazione tirannica.
E con ciò siamo arrivati al caso B).
La situazione della persona alla quale viene all'improvviso imposto il ruolo della vittima, è indispensabile per qualificare l'atto terroristico, sia in una situazione di comune delinquenza, che di delitto politico.
Per dimostrare la situazione psichica della vittima ritorno all'esempio dello zoologo aggredito dalla belva. I paragoni che si possono fare con la situazione umana in frangenti analoghi sono parecchi.
Modelli di comportamento di base
Dobbiamo partire dell'esistenza dei modelli di comportamento di base, i quali categorizzano l'essere umano, così che lo stesso si riconosce come singolo appartenente alla stessa specie, e ciò non nel senso morale, ma quale condizione preliminare biopsichica, di cui però fa parte anche la capacità umana di moralizzare.
La paralisi causata dallo spavento dimostra l'esistenza di riflessi dell'istinto di conservazione, i quali, in crisi estreme, entrano automaticamente in funzione. La priorità della conservazione è evidente. Si tratta di funzioni archetipiche, le quali sono legate all'istinto che tende alla salvaguardia delle funzioni elementari e condizionanti della vita stessa.
Tutte queste norme alla base di funzioni archetipiche sono forme primitive, reattive e involontarie, cioè di carattere infantile, a dipendenza del loro rango primitivo.
Così lo svolgimento del sentimento reattivo della vittima reinserisce il desiderio di protezione del bambino, specialmente in caso di sequestro.
Essa fa appello alla compassione, diventa inattiva e ripone la propria fiducia unicamente in un atteggiamento che provoca reazioni di protezione e di cura.
L'inattività mentale può regredire in tale situazione fino alla fase preorale del postpartum.
Quando la regressione dell'autoresponsabilità, fino al punto di un appello alla solidarietà che dovrebbe attivare la protezione, resta senza risposta valida, si risveglia il sentimento di vendetta.
Ne conseguono delusioni, sfiducia e depressioni fino ad una situazione estrema di letargia. Esistendo la possibilità di attivarsi predomina il sentimento di vendetta. La via attiva resta soprattutto aperta alla vittima abbandonata dell'aggressore subito dopo il reato. La vendetta può però svilupparsi in direzioni diverse.
Heinrich von Kleist nella sua novella a sfondo storico «Michael Kohlhaas», già nel 1810 ha descritto minuziosamente ed in modo psicologico, come, in seguito alla vittimizzazione, una vendetta possa svilupparsi quando l'ordine pubblico è troppo debole per poter garantire una giustizia riconoscibile.
La sindrome di Michael Kohlhaas (Michael-Kohlhaas-Syndrom) conferma il proprio significato anche nei nostri tempi moderni.
La situazione del diritto nella nostra società, non contempla le reazioni emotive quali le vendette, specialmente quando le stesse implicano una pianificazione relativamente a lunga scadenza.
Ne risulta il sentimento dell'impotenza, e proprio questo sentimento crea quella situazione patologica che conosciamo, sotto il nome di choc a distanza, dal nostro materiale clinico.
Essa è dominata della disperazione di chi si sente isolato.
Possiamo definire questo sentimento d'abbandono, con il conseguente rischio di un ripiegamento su se stessi, con il termine di autismofobia. Questa può anche rivelarsi sotto forma di reazione paradossale, nella quale viene, cambiato il bersaglio all'odio, quando la vittima si identifica cioè con gli aggressori.
L 'identificazione della vittima con gli aggressori.
Per questo fenomeno conosciamo parecchi esempi. Il caso più noto è forse quello di Patricia Hearst, figlia del ricchissimo editore statunitense Hearst. Altri esempi sono constatabili nel dramma dei sequestri aerei di Zerqa nel 1970 e nell'affare dei Molucchesi in Olanda nel 1977.
Inoltre il materiale statistico della "divisione ricerche sul terrorismo" della Rand Corporation di Santa Monica, che contiene i risultati delle ricerche su 47 uomini sequestrati e sopravvissuti (fine aprile 1978) conferma questo fenomeno, chiamiandolo "sindrome di Stoccolma" per il fatto che le ragazze tenute in ostaggio durante una rapina in banca a Stoccolma avevano stabilito ottime relazioni con i loro aggressori.
Analogo può essere pure considerato il fenomeno dei prigionieri russi, i quali combatterono - dopo essere stati fatti prigionieri - con le truppe Hitleriane nella seconda guerra mondiale.
Quando gli aggressori offrono alle vittime da loro sequestrate la possibilità di solidarizzare con loro trovandosi queste in una situazione di costrizione, esse ne fanno abitualmente uso.
Negli articoli delle riviste e degli ambienti pseudoscientifici piace parlare poi di «lavaggio del cervello» subito. Ma sappiamo che si tratta, invece, di esempi tipici del funzionamento degli istinti di conservazione.
La ragione per la quale la vittima s'identifica con la volontà dell'aggressore è da cercare unicamente nel rapporto di potere che si è venuto creando.
Nei casi qui menzionati è evidente che gli aggressori si sono dimostrati più potenti che non l'ambiente protettivo abitualmente garantito dall'ordine pubblico.
In tali situazioni la sequenza psichica segue evidentemente le motivazioni contenute nella legge sul funzionamento dei gruppi tripolari, quali sono state descritte da T .M. Mills, nel 1954, e da A.F. Henry nel 1956, sulla base della sociologia di Georg Simmel.
L 'azione dell'istinto di conservazione può allora indirizzarsi in due diverse direzioni:
quella della vendetta;
quella della conversione, cioè dell'identificazione con l'aggressore contro l'ordine della società, la quale non ha saputo garantire la protezione richiesta al momento del primo riflesso, provocato della paralisi dello spavento.
La regressione fino a funzioni infantili in questo secondo caso, può ad esempio significare la punizione dell'ambiente familiare troppo debole.
La situazione di terrore ha così un effetto di riorientamento, il quale può essere anche definito rieducazione per mezzo della costrizione.
Effetto educativo
Il drill nell'esercito, ad esempio, si serve di questo meccanismo, per ottenere una solidarizzazione con questa società forzata.
Lo stesso effetto ha, in modo involuto però, anche l'incarceramento punitivo.
Urie Bronfenbernner ha studiato i principi dell'educazione in due mondi diversi - negli Stati Uniti e nell'Unione Sovietica - esaminando dei bambini, con questo risultato: l'educazione negli stati di regime assoluto e di ideologia unica tende all'uniformità degli ideali per mezzo di una certa severità. L 'accettazione della concezione statale è in questi casi l'obiettivo dichiarato, che viene anche raggiunto, come possiamo constatare sulla base dell'esempio dell'Unione Sovietica e dei suoi satelliti, come pure nelle due Cine moderne, in modi diversi.
Il risultato è ordine e protezione per tutti, altamente apprezzati. La protezione conta in questi casi non solo nel suo aspetto esteriore, ma anche come un fattore sentito. Protezione significa accordo ritualizzato. Questi riti sono sempre stati punti fissi dell'orientamento mentale e del reciproco riconoscersi.
Tali possibilità dell'orientamento sulla base d'un codice del comportamento sono conosciute soprattutto dai giuristi, perché proprio una di queste possibilità, cioè la legge, sta alla base della loro professione.
Attualmente proprio nelle fasi di sviluppo dell'infanzia mancano questi supporti per la formazione di un obiettivo di vita. La pedagogia moderna nega infatti il loro valore umano. Il risultato è un completo disorientamento, a seguito del quale coloro che non fruiscono di un'educazione sembrano naufraghi in un mare senza rive e isole.
Condizioni simili creano la sensazione di essere abbandonati, soli ed isolati. Proprio in questa desolata situazione d'isolamento si trovano le vittime al momento del reato di cui sono oggetto, e non raramente anche gli aggressori.
Riepilogando:
Pensiamo di dover differenziare le vittime in almeno due categorie:
a vittima dell'arbitrio prevedibile
b la vittima del caso,
Alla categoria A) possono essere ricondotte le vittime di regimi politici e quelle appartenenti ad una minoranza discriminata.
Alla categoria B) appartengono per contro le vittime di fatti singoli, cioè del caso.
La differenza è evidente. L'eroismo del martirio è una caratteristica del caso A), mentre che per contro la vittima di un imprevisto avvenimento fatale deve essere considerata nell'ambito del caso B). Particolarmente in questa seconda categoria si ritrovano e sono evidenti gli aspetti della sofferenza ed i riflessi dell'istinto di conservazione, i quali possono essere così compendiati :
l'amnesia psichica parziale. per quanto concerne il momento del dramma dell'aggressione,
il ripiego su funzioni della fase di sviluppo orale e preorale. (Specialmente in caso di sequestro),
l'attivazione dei sentimenti di vendetta. (In particolar modo nel caso in cui la vittima viene abbandonata dall'aggressore subito dopo il reato), il cambiamento di direzione dell'odio e l'identificazione della vittima coll'aggressore. (Quando si ha, ad esempio, un sequestro politico).
In questo quadro il terrore politico, praticato da minoranze attive, può aver portato storicamente al rovesciamento del regimi al potere, senza tuttavia provocare cambiamenti nei meccanismi sociali di base.
I cambiamenti dì regime ad intervalli brevi negli stati sudamericani ne sono un esempio tipico. Altri stati sembrano più tradizionali, solo a causa degli intervalli più prolungati che intercorrono fra i singoli rovesciamenti dei regimi al governo. Nella sostanza però il loro sviluppo da regime a regime avviene secondo lo stesso principio. La vittima ha sempre li ruolo ignorato di mezzo del quale si serve l'aggressore per raggiungere la meta prefissata. Per il milite ignoto, vittima esemplare nell'ambito della categoria A), si trovano ovunque monumenti. La vittima sconosciuta, riconducibile al caso B) malgrado la sua maggiore importanza, sia in senso numerico come in quello della psicoigiene sociale, è per contro totalmente ignorata.
Possibilità di terapia
Per la terapia delle conseguenze, provocate dall'istinto di conservazione, la teoria della libido secondo la definizione di Freud non è applicabile; sono invece validi i meccanismi della egodefens e i criteri dell'organizzazione della persona negli strati del sé, ego e sovraego, i quali forniscono un solido fondamento per la spiegazione e la comprensione della natura umana. La teoria del senso di colpa per il doppio crimine di desiderio, la quale costituisce l'essenza del complesso edipico, non dimostra invece in tale circostanza una sua validità o utilità. Neppure applicabili per la psicoterapia dello choc a distanza, sono le categorie della psicologia individuale di A. Adler, in quanto non si tratta di compensare un'insufficienza organica o psichica, quando una vittima si sente oggetto della violenza.
Anche i metodi i quali trasferiscono la colpa sulla generazione dei genitori secondo il sistema "ok" di Berne, non offrono elementi utili per una terapia della vittima del terrore. La situazione problematica della vittima è riferibile per contro al contenuto delle psicoterapie centrate sulla violenza di Hedri, o quella di liberazione spirituale di Schipkowensky. Anche le terapie che centrano la loro applicazione sulla responsabilità di una morale comune, come ad esempio la logoterapia di V. Frankl, o le terapie che offrono la possibilità della razionalizzazione in un concetto filosofico, elaborate da Boss e Condrau sulla base della filosofia esistenziale di Heidegger, possono aiutare nella situazione di disperazione della vittima. Le convinzioni religiose, soprattutto delle sette che tendono verso una marcata autodisciplina (oggi chiamata repressiva), servono alla vittima per la ricostruzione del suo «rifugio interno», sulla base del nucleo più personale, attraverso la convinzione di possedere una moralità superiore.
La vittima ha, per lo meno quale riflesso passeggero, come abbiamo visto, la tendenza a ritornare verso una fiducia infantile in una giustizia trascendentale.
La definizione della libido secondo C.G. Jung e le categorie di forma e dei dinamismi archetipici, come risultano dal confronto del contenuto dei sogni con le immagini dei miti e delle favole antiche e popolari, offrono una base per poter spiegare il contenuto dei sentimenti, degli impulsi e delle reazioni, istintive per la vittima della violenza casuale.
Nella terapia le due categorie della tipologia psicologica di Michael Balint, l'oknophilia - cioè il legame col focolare - e la philobatia - cioè il piacere di avventurarsi in azioni rischiose -, si dimostrano utili in modo eccezionale.
L 'oknophilia, come tendenza di regressione, simbolizza la sicurezza che deriva dall'ambiente nel quale la persona trova la propria identità. L'ambiente è in realtà la zona allargata dell'ego, che circonda le condizioni familiari o del gruppo di carattere familiare come parte complessiva dell'ego singolo, cioè come espressione dell'ego sociale.
La philobatia, la «Angstlust» , invece, offre lo spazio necessario per le iniziative personali, che rendono la vita un'avventura, la quale conduce sempre oltre l'ambiente rassicurante, cioè al di là dell'oknophilia.
Nel caso di Patricia Hearst la relazione fra le due categorie si è sviluppata in modo tale, che essa ha regredito sulla base della motivazione oknophilistica fino a solidarizzare col gruppo del quale era rimasta vittima, trovando la sicurezza interazionale in questa sua pseudofamiglia. Sappiamo che in una certa fase limitata di maturazione questi «Bünde», cioè gruppi clandestini, si formano spontaneamente quale primo passo decisivo verso la emancipazione.
Il fenomeno è stato ben studiato e analizzato da Will Erich Peuckert nell'opera Geheimkulte (culti secreti) e da L. Knaak in Trotz, Protest, Rebellion (ostinazione, protesta, ribellione). ,
Nell'ambito di questa pseudofamiglia, la Hearst - nella sua fase regressiva - ha potuto prendere parte ad azioni terroristiche per soddisfare la sua rabbia, provocata soprattutto dal sentimento di completa impotenza personale di fronte alle azioni di violenza. Si tratta, in questo caso, di azioni di vendetta alla rovescia, cioè contro l'ambiente troppo debole per offrire la necessaria protezione. La spinta philobatica non ha trovato in questa sua situazione un altro campo d'azione.
La sofferenza psichica, (il panico dell'isolamento), della vittima può essere descritta nelle forme seguenti:
fobia di solitudine, come un tipo della claustrofobia,
autismofobia,
ansia di perdita dell'ambiente abituale, il quale è condizione di esistenza.
Una terapia di queste forme dello squilibrio psichico della vittima del terrore deve dunque basarsi sul principio della ricostruzione o restaurazione dell'«equilibrio prestabilito» , il cui concetto e metodo sono sviluppati dall'autore di queste riflessioni in un volume che sarà edito prossimamente.
Il metodo si basa soprattutto su meccanismi d'azione archetipica e sul dinamismo del movimento come espressione psichica, partendo dell'appetenza per la soddisfazione di certi bisogni del sentimento del valore proprio della persona.
L 'identità personale in questo concetto è superiore all'individualità, la quale è solo ipotetica già per la suddivisione degli strati dell'ego a seconda del loro valore, e per l'importanza della relazione col tu, che condiziona largamente la realtà dell'esistenza singola di ogni essere umano.
Bibliografia
1 Edito nella collana di psicologia e criminale, diretta da Guglielmo Gulotta, da Giuffrè editore, Varese, 1980.
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9 BERNE E., Spiele der Erwachsenen. Psychologie der menschlichen Beziehung. Rowohlt, Hamburg, 1970.
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11 SCHIPKOWENSKY N., Iatrogenie oder befreiende Psychotherapie? Der psychische Einfluss des Arztes auf seinen Patienten. Schwabe & Co., Basel, Stuttgart, 1977.
12 FRANKL V.E., Theorie und Therapie der Neurosen. Einführung in die Logotherapie und Existenzanalyse. Reinhardt, München, 1968.
13 BOSS M., CONDRAU O., HICKLIN A., Leiben und Leben. Beiträge zur Psychosomatik und Psychotherapie. Benteli, Bern, 1977.
14 JUNG C.G., Symbole der Wandlung. Rascher, Zürich, 1952; JUNG C.G., Das Unbewusste im normalen und kranken Seelenleben. Rascher, Zürich, 1929; JUNG C.G., KERENYI K., Einführung in das Wesen der Mythologie. Das göttliche Kind, das göttliche Mädchen, Rascher, Zürich, 1951.
15 BALINT M., Angstlust und Regression. Beitrag zur Typenlehre. Klett, Stuttgart, 1959.
16 PEUCKERT W.E., Geheimkulte. CarI Pfeffer, Heidelberg, 1951.
17 KNAAK L., Trotz, Protest, Rebellion. Urform und Bedeutung des Nestzerstörungstriebes. Zürich, 1970.

PATRIA POTESTA'

Patria Potestà


1.Che cosa si intende, in pratica, per “potestà genitoriale”? Quali sono i diritti e gli obblighi che spettano al titolare della potestà genitoriale?
2.Come regola generale, a chi compete la potestà sul minore?
3.Qualora i genitori non siano considerati idonei o non intendano esercitare la potestà sui propri figli, può essere nominata un’altra persona al loro posto?
4.In caso di divorzio o separazione dei genitori, in che modo vengono stabilite le modalità di esercizio della potestà genitoriale per il futuro?
5.Nel caso in cui i genitori raggiungano un accordo sulle questioni relative alla potestà, quali formalità devono essere espletate affinché tale accordo risulti vincolante dal punto di vista legale?
6.Nel caso in cui i genitori non raggiungano un accordo sulle questioni relative alla potestà, a quali strumenti alternativi si può ricorrere per dirimere la controversia senza adire l’autorità giudiziale?
7.Se i genitori decidono di adire l’autorità giudiziale, quali questioni relative al minore rientrano nell’ambito di competenza del giudice?
8.Se il giudice assegna a uno dei genitori l’affidamento esclusivo del minore, ciò implica che detto genitore possa decidere tutto ciò che riguarda il minore senza consultare preventivamente l’altro genitore?
9.Se il giudice assegna ai genitori l’affidamento congiunto, quali sono le conseguenze pratiche?
10.Presso quale tribunale o autorità ci si deve rivolgere per presentare una istanza in materia di potestà genitoriale? Quali formalità vanno espletate e quali documenti devono essere allegati alla domanda?
11.Qual è il procedimento applicabile in questi casi? Esiste un procedimento d’urgenza?
12.E’ possibile usufruire di assistenza legale gratuita, che copra le spese dei procedimenti?
13.Le decisioni in materia di potestà sono impugnabili?
14.In taluni casi, può essere necessario rivolgersi ad un altro tribunale o ad altra autorità affinché sia data esecuzione a decisioni in materia di responsabilità genitoriale. Che procedura si segue in tali casi?
15.Che cosa bisogna fare per ottenere il riconoscimento e l’esecuzione in Spagna di una decisione in materia di potestà resa dal tribunale di un altro Stato membro dell’Unione europea? Qual è la procedura applicabile in questi casi?
16.Qual è il tribunale competente in Spagna, presso il quale ci si può opporre al riconoscimento di una decisione in materia di potestà genitoriale emessa dal tribunale di un altro Stato membro dell’Unione europea? Qual è la procedura applicabile in questo caso?
17.Qual è la legge applicabile nel procedimento in materia di potestà genitoriale nel caso in cui il minore o le parti non siano residenti in Spagna o siano di diversa nazionalità?

1. Che cosa si intende, in pratica, per “potestà genitoriale”? Quali sono i diritti e gli obblighi che spettano al titolare della potestà genitoriale?
La potestà genitoriale è costituita dall’insieme dei diritti e dei doveri di cui sono investite persone fisiche, di norma i genitori, o persone giuridiche per effetto della legge o in virtù di decisioni giudiziali riguardanti la persona o i beni di un minore
Nel caso in cui i genitori non convivano il termine comprende, in particolare, l’affidamento e il regime di visite.
2. Come regola generale, a chi compete la potestà sul minore?
La potestà genitoriale sui minori spetta ai genitori.
In caso di separazione, divorzio, interruzione della convivenza o non convivenza dei genitori, l’insieme dei diritti e dei doveri che si esercitano sui minori, sulla loro persona e sui loro beni, spetta ad entrambi i genitori, salvo casi eccezionali.
Se i genitori vivono separati, la patria potestà è esercitata dal genitore con il quale convive il minore, benché il giudice, su richiesta dell’altro genitore, possa anche stabilire che la potestà sia esercitata congiuntamente. Il primo caso è comunque la situazione più frequente.
3. Qualora i genitori non siano considerati idonei o non intendano esercitare la potestà sui propri figli, può essere nominata un’altra persona al loro posto?
Il diritto spagnolo prevede la possibilità di nominare altri familiari, persone o istituzioni designate, sulla base di una decisione amministrativa o giudiziale, al fine di consentire l’esercizio della potestà genitoriale sui minori, nel caso in cui i genitori non siano sufficientemente idonei ad esercitarla.

4. In caso di divorzio o separazione dei genitori, in che modo vengono stabilite le modalità di esercizio della potestà genitoriale per il futuro?
Se i genitori divorziano o si separano, la potestà genitoriale può essere assegnata nei modi seguenti:
·su proposta di entrambi i genitori mediante un accordo convenzionale (Convenio Regulador) che deve essere approvato dal giudice;
·in virtù di una decisione giudiziale nei procedimenti contenziosi.
La potestà genitoriale in quanto istituto di tutela del minore spetta ad entrambi i genitori.
Le modalità relative alla cura e all’affidamento dei minori possono essere riassunte come segue:
·attribuzione a uno solo dei genitori: è il caso più frequente tanto nelle separazioni e divorzi consensuali quanto in quelli contenziosi;
·attribuzione congiunta, alternando i periodi nei quali i minori risiedono con uno o con l’altro genitore: viene richiesta e concessa per lo più nei procedimenti consensuali;
·in via eccezionale e per circostanze particolari, attribuzione a terzi sulla base di una decisione giudiziale, su proposta dei genitori oppure direttamente su decisione del giudice;
·nel caso in cui la tutela del minore sia stata attribuita all’Amministrazione, si mantiene la situazione esistente e l’affidamento non viene assegnato a nessuno dei genitori.
5. Nel caso in cui i genitori raggiungano un accordo sulle questioni relative alla potestà, quali formalità devono essere espletate affinché tale accordo risulti vincolante dal punto di vista legale?
Nel caso in cui i genitori raggiungano un accordo sulle questioni relative alla potestà, devono presentare un accordo convenzionale (Convenio Regulador) firmato in cui siano specificate tutte le condizioni convenute e che definisca espressamente, fra l’altro, i seguenti aspetti:

·l’affidamento e la cura del minore;
·il regime di visite con i genitori;
·l’esercizio della potestà genitoriale;
·l’uso del domicilio familiare;
·il contributo al mantenimento del minore.
L’accordo deve essere presentato unitamente all’istanza presso il tribunale competente, il Juzgado de primera Instancia, ed essere confermato dai genitori presso il tribunale; dopo aver ascoltato i minori, se dotati di sufficiente capacità di giudizio, il giudice convalida gli accordi.
Qualora venga ritenuto vantaggioso per il minore, il giudice procede alla sua approvazione nella sentenza di separazione o di divorzio oppure all’adozione di provvedimenti definitivi in materia di cura e affidamento dei figli minori e di contributo per il loro mantenimento, nei casi in cui i genitori non siano coniugati.
6. Nel caso in cui i genitori non raggiungano un accordo sulle questioni relative alla potestà, a quali strumenti alternativi si può ricorrere per dirimere la controversia senza adire l’autorità giudiziale?
La mediazione familiare rappresenta, per eccellenza, lo strumento alternativo alle decisioni giudiziali per pervenire ad un accordo fra le parti.
Affinché abbiano efficacia esecutiva, gli accordi adottati devono sempre essere approvati nella decisione giudiziale.
7. Se i genitori decidono di adire l’autorità giudiziale, quali questioni relative al minore rientrano nell’ambito di competenza del giudice?
Nella propria decisione il giudice, evitando possibilmente di separare i fratelli, deve sempre statuire sui seguenti aspetti nell’interesse dei figli minori, dopo averli ascoltati se dotati di sufficiente capacità di giudizio e, in ogni caso, se di età superiore a 12 anni:

·sull’affidamento e sulla cura, che devono essere assegnati all’uno o all’altro genitore o ad entrambi, nonché sull’educazione dei minori;
·sul regime di visite fra i genitori, stabilendo la durata delle visite, le modalità e il luogo in cui i genitori possono comunicare con i figli e tenerli in propria compagnia;
·eccezionalmente può essere necessario limitare o sospendere tale diritto di visita qualora si verifichino gravi circostanze o in caso di grave e reiterata inosservanza dei propri doveri da parte di uno dei genitori;
·sull’attribuzione della patria potestà ed eventualmente, se vi fosse motivo e nell’interesse della prole, sull’esercizio totale o parziale della potestà da parte di uno dei genitori, ivi compresa l’eventuale privazione dell’esercizio della stessa qualora ciò risultasse giustificato;
·sul contributo che ciascun genitore è tenuto a versare per il mantenimento della prole, tenendo conto delle condizioni economiche esistenti e adottando le misure necessarie per assicurarne l’efficacia;
·sull’assegnazione dell’uso dell’abitazione familiare e degli oggetti di uso comune, dando la precedenza alle esigenze dei figli minori in caso di disaccordo fra i genitori.
8. Se il giudice assegna a uno dei genitori l’affidamento esclusivo del minore, ciò implica che detto genitore possa decidere tutto ciò che riguarda il minore senza consultare preventivamente l’altro genitore?
Poiché, come principio generale, la potestà genitoriale spetta ad entrambi i genitori, la facoltà di decidere e deliberare su tutte le questioni che riguardano il minore spetta ad entrambi i genitori, anche nel caso in cui il minore sia affidato ad uno solo di essi.

In caso di disaccordo fra i genitori sulle decisioni che si possono o si debbono adottare relativamente al figlio minore, che possono riguardare, ad esempio, l’ambito dell’istruzione e dell’educazione come la scelta dell’istituto scolastico o delle attività extrascolastiche, l’ambito sanitario come la scelta di un medico, oppure l’identità personale come la scelta del nome o la formazione religiosa o, ancora, la scelta del luogo o del paese di residenza dei minori, eccetera, e non sia possibile raggiungere un accordo, ognuno dei genitori può rivolgersi al giudice per comporre la controversia.
Il giudice, dopo aver ascoltato entrambi i genitori e il figlio, se dotato di sufficiente capacità di giudizio, attribuirà la facoltà di decidere al padre o alla madre con propria decisione inoppugnabile; qualora i disaccordi siano ripetuti o sussistano ulteriori cause che possano pregiudicare gravemente l’esercizio della patria potestà, il giudice può attribuire ad uno dei genitori totalmente o parzialmente il potere di decisione, ovvero distribuire fra i genitori le relative funzioni. Tutte le suddette misure possono essere adottate per un periodo massimo di due anni.
9. Se il giudice assegna ai genitori l’affidamento congiunto, quali sono le conseguenze pratiche?
Nel caso in cui l’affidamento del minore sia attribuito congiuntamente ad entrambi i genitori, in pratica ciascun genitore provvede, alternandosi, alle cure quotidiane e all’assistenza diretta del minore per periodi prestabiliti di solito coincidenti con la durata di periodi del calendario scolastico, come i trimestri.
L’affidamento congiunto implica inoltre la ripartizione di tutti i periodi di vacanza fra entrambi i genitori.

Questa modalità di affidamento non è abituale e risulta comunque più frequente nei procedimenti consensuali su proposta dei genitori.
10. Presso quale tribunale o autorità ci si deve rivolgere per presentare una istanza in materia di potestà genitoriale? Quali formalità vanno espletate e quali documenti devono essere allegati alla domanda?
Nei procedimenti consensuali di separazione o divorzio il foro competente è il Juzgado de Primera Instancia dell’ultimo domicilio comune dei coniugi o di uno degli istanti.
Nei procedimenti contenziosi in materia matrimoniale, il foro competente è il Juzgado de Primera Instancia del luogo di domicilio coniugale e, nel caso in cui i coniugi risiedano in distretti giudiziari diversi, a scelta dell’istante, il distretto dell’ultimo domicilio coniugale o quello di residenza dell’altro coniuge.
Nei procedimenti che, in mancanza di matrimonio fra i genitori, vertono esclusivamente sugli aspetti della cura e dell’affidamento dei figli minori e degli alimenti ad essi destinati, il foro competente è il Juzgado de Primera Instancia del luogo di ultimo domicilio comune dei genitori e, nel caso in cui questi ultimi risiedano in distretti giudiziari diversi, a scelta dell’istante, il distretto di domicilio dell’altro genitore o il distretto di residenza del minore.
11. Qual è il procedimento applicabile in questi casi? Esiste un procedimento d’urgenza?
I procedimenti applicabili in questi casi sono i seguenti:
·Nel caso in cui sussista accordo fra le parti, il procedimento consensuale di cui all’art. 777 della Ley de Enjuiciamiento Civil, in materia di separazione, divorzio e adozione di provvedimenti definitivi relativi alla tutela, all’affidamento e al contributo al mantenimento dei figli minori in assenza di matrimonio.
·Nel caso in cui non sussista alcun accordo fra le parti, il procedimento contenzioso, disciplinato ai sensi degli articoli 770 e 774 della Ley de Enjuiciamiento Civil per i procedimenti in materia matrimoniale e relativi ai minori anche qualora i genitori non siano uniti in matrimonio.
In caso di urgenza, si può richiedere l’adozione di misure attraverso i seguenti procedimenti:

·Provvedimenti provvisori precedenti alla presentazione della domanda di annullamento, separazione o divorzio o provvedimenti provvisori nel corso dei processi che vertono sulla cura e l’affidamento dei figli minori e degli alimenti ad essi destinati. La materia è disciplinata negli articoli 771 e 772 della Ley de Enjuiciamiento Civil.
È previsto espressamente che, qualora sussistano motivi di urgenza, possano essere adottate misure di carattere immediato nella prima decisione che viene emessa.
·Misure provvisorie derivate dall’accoglimento della domanda di procedimento in materia matrimoniale o dei minori, come nei casi di cui sopra. La materia è disciplinata nell’articolo 773 della Ley de Enjuiciamiento Civil.
12. E’ possibile usufruire di assistenza legale gratuita, che copra le spese dei procedimenti?
Si può accedere ai benefici dell’assistenza legale gratuita, completa o parziale, purché si possa comprovare di essere in possesso dei requisiti richiesti per usufruirne, ai sensi della Ley de Asistencia Jurídica Gratuita (Si veda, a questo proposito, “Justicia Gratuita – España”).
13. Le decisioni in materia di potestà sono impugnabili?
Per stabilire quali decisioni sono impugnabili, occorre anzitutto distinguere fra i vari tipi di decisioni in materia di potestà genitoriale, che sono così classificabili:
·sentenze dei procedimenti contenziosi: contro tutte queste sentenze si può ricorrere in appello presso il Tribunale provinciale (Audiencia Provincial) ;
·decisioni dei procedimenti consensuali: contro dette decisioni si può ricorrere in appello, sempre presso il Tribunale provinciale (Audiencia Provincial) , solo a condizione che siano state adottate misure incompatibili con i termini previsti dall’accordo convenzionale (Convenio Regulador).
·decisioni in materia di misure provvisorie preventive o di misure provvisorie o decisioni in materia di esercizio della potestà genitoriale: contro questo tipo di decisioni la legge non prevede alcuna possibilità di ricorso.
14. In taluni casi, può essere necessario rivolgersi ad un altro tribunale o ad altra autorità affinché sia data esecuzione a decisioni in materia di responsabilità genitoriale. Che procedura si segue in tali casi?
Nei casi in cui non sia data volontariamente esecuzione alle decisioni giudiziali in materia di responsabilità dei genitori, ci si può rivolgere al Juzgado de Primera Instancia che ha emesso tali decisioni presentando una richiesta di dichiarazione di esecutività al fine di ottenere l’esecuzione coatta della misura o delle misure disattese.

Devono essere indicate la sentenza o decisione di cui si chiede l’attuazione e la persona contro la quale si chiede venga disposta l’esecuzione.
15. Che cosa bisogna fare per ottenere il riconoscimento e l’esecuzione in Spagna di una decisione in materia di potestà resa dal tribunale di un altro Stato membro dell’Unione europea? Qual è la procedura applicabile in questi casi?
Le decisioni emesse in un altro Stato membro relative all’esercizio della potestà sul figlio di entrambi i coniugi a seguito di procedimenti in materia matrimoniale che abbiano avuto efficacia esecutiva in tale Stato membro e che siano stati notificati devono essere riconosciute in Spagna su richiesta di una delle parti interessate senza necessità di un procedimento, ai sensi di quanto disposto dal Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di potestà dei genitori sui figli di entrambi i coniugi.
Per richiedere l’esecuzione di una decisione occorre proporre un’istanza per la dichiarazione di esecutività tramite un avvocato e procuratore, allegando una copia della decisione stessa che presenti tutti i requisiti necessari per determinarne l’autenticità, conforme al modulo uniforme di cui all’allegato V, al tribunale nella cui circoscrizione risiede il minore e presso il quale viene richiesta la dichiarazione di esecutività.
Per i casi che non rientrano nell’ambito di applicazione del regolamento succitato, relativi alla potestà genitoriale sui figli nati al di fuori del matrimonio, nel periodo in cui non sia ancora entrata in vigore e non sia esecutiva l’attuale proposta di regolamento del Consiglio relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione di decisioni in materia matrimoniale e in materia di potestà dei genitori (pubblicata nella Gazzetta ufficiale del 27 agosto 2002) , il riconoscimento delle decisioni viene assicurato in virtù delle norme generali in materia di delibazione e tali decisioni potranno essere rese esecutive una volta riconosciute conformi al diritto spagnolo.

16. Qual è il tribunale competente in Spagna, presso il quale ci si può opporre al riconoscimento di una decisione in materia di potestà genitoriale emessa dal tribunale di un altro Stato membro dell’Unione europea? Qual è la procedura applicabile in questo caso?
Per opporsi in Spagna al riconoscimento di una decisione in materia di potestà genitoriale resa in un altro Stato membro, la parte interessata deve adire il tribunale (Juzgado de Primera Instancia) presso il quale si richiede il riconoscimento della stessa adducendo alcuni dei motivi di diniego del riconoscimento previsti dal regolamento 1347/2000.
I motivi di diniego del riconoscimento ammessi sono i seguenti: la decisione è manifestamente contraria all’ordine pubblico; è stata resa senza che il figlio abbia avuto la possibilità di essere ascoltato; è stata resa in contumacia e un atto equivalente non è stato notificato o comunicato al contumace in tempo utile, salvo sia stato accertato che questi ha accettato la decisione; se si ritiene la decisione sia lesiva dell’esercizio della propria potestà di genitore ed è stata emessa senza che sia stata data la possibilità di essere ascoltato; se la decisione è in contrasto con un’altra decisione successiva.
17. Qual è la legge applicabile nel procedimento in materia di potestà genitoriale nel caso in cui il minore o le parti non siano residenti in Spagna o siano di diversa nazionalità?
La legge applicabile in un procedimento in materia di potestà genitoriale è la legge personale del minore; laddove non sia possibile determinarla, ci si attiene alla legge del luogo di residenza abituale dello stesso.