giovedì 14 settembre 2006

Temi di discussione




Domanda
Salve, mi chiamo Chiara, ho 23 anni e studio psicologia presso l'Università degli studi di Roma "La Sapienza". Sto svolgendo delle ricerche, per un progetto di tesi, sulla Sindrome di Munchausen per Procura e avrei bisogno di sapere quali sono le implicazioni psicodinamiche di questa patologia. Inoltre, come si interviene quando ci si trova di fronte a questo genere di problema? Dove posso trovare delle informazioni e dei dati più specifici al riguardo? Spero di ricevere al più presto una sua risposta! Cordialmente
Risposta
Ciao Chiara, La sindrome di Munchausen per procura è una forma di abuso di un bambino nella quale chi abusa lo fa perché crede o tenta di far credere che tale bambino abbia una qualche forma di malattia che va repentinamente curata. Tale sindrome coinvolge, generalmente, i genitori di del bambino in un lungo periodo di abusi fisici. Vediamo, innanzitutto, cosa si intende per sindrome di Munchausen. Il barone di Munchausen (realmente esistito) è il personaggio di una storia di G.A. Burger che combatté a fianco dei Russi contro i Turchi. In seguito si ritirò in un castello e lì intratteneva i suoi ospiti con racconti e storie esagerate ed inverosimili. Da qui il riferimento per la sindrome, avvero l'invenzione ed esagerazione di fatti o sintomi clinici riportati da individui che si rivolgono costantemente alle cure mediche. Tale espressione fu utilizzata per primo da Asher nel 1951 e Meadow nel 1977 utilizzò per preimo l'espressione “sindrome di Munchausen per procura” in riferimento al fatto che uno dei genitori, generalmente la mamma, del bambino richiede continuamente aiuto a medici e ospedali, inventandosi o creando ad arte sintomi fisici. Nel DSM-IV-TR (2001) tale sindrome è indicata come “Disturbo fittizio per procura” e viene sottolineato come “La caratteristica essenziale è la produzione deliberata o la simulazione di segni o sintomi fisici in un'altra persona che è affidata alle cure del soggetto. Tipicamente la vittima è un bambino piccolo, e il responsabile è la madre del bambino. La motivazione di tale comportamento viene ritenuta essere il bisogno psicologico di assumere, per interposta persona, il ruolo di malato”. Le caratteristiche dell'abusante saltano subito agli occhi, in quanto, generalmente, sono persone che hanno grande dimestichezza con la medicina (è stato riscontrato che molti di essi sono paramedici), sollecitano ed interagiscono in maniera continua e costante con funzionari ospedalieri. Appaiono molto accudenti e coinvolte nella cura del figlio,. Sembra, infine, che molti di loro abbiano avuto esperienze simili durante la loro infanzia. L'altro genitore (generalmente il padre), invece, raramente ha comportamenti di abuso sul figlio. Spesso indifferenti e passivi, non si ritagliano (o è permesso loro) un ruolo primario nella cura delle malattie del figlio. Le loro visite in ospedale non sono frequenti ed inoltre non è capace di fermare l'abuso del figli da parte della madre. Utilizzando la teoria dell'attaccamento di Bowlby, questo tipo di relazione madre-bambino può portare ad un legame di attaccamento di tipo D, avvero disorganizzato-disorientato in cui il bambino si trova di fronte ad un paradosso affettivo: la persona che lo dovrebbe accudire è la stessa che invece lo maltratta e lo”soffoca” con eccessive cure ed attenzioni, e nel caso di sua ribellione per questi comportamenti, viene colpevolizzato e maltrattato in misura maggiore. La reazione di questi bambini è quella di una iper-attenzione ed iper-vigilanza sul proprio comportamento e su quello della madre, con il risultato di avere un bambino sempre spaventato e che non riconosce o evita di far emergere le proprie emozioni, ponendo le basi, in tal modo, ad uno stile affettivo piatto e poco responsivo alle attenzioni altrui. All'indirizzo: La Sindrome di Munchausen troverai una spiegazione psicologica della sindrome di Munchausen, in chiave sistemica, data dal Dr. Paolo Chellini La presa in cura del bambino è attuabile attraverso due percorsi: a. La tutela b. La terapia.
La tutela Va realizzata coinvolgendo la Procura della Repubblica, il Tribunale per i Minorenni e il Servizio Sociale competente; vanno utilizzati gli strumenti e prese le iniziative che proteggano il bambino dalla reiterazione dell'abuso e da pressioni psicologiche che possono compromettere la rivelazione (eventualmente sollecitando il suo allontanamento dalla famiglia ed il suo ingresso in comunità dotate delle necessarie risorse professionali ed umane, o l'allontanamento del presunto abusante se la famiglia è protettiva). parimenti vanno evitati accanimenti diagnostici troppo invasivi (interviste ripetute,trattamenti coatti) volti ad ottenere rivelazioni più complete. L'elaborazione di un progetto terapeutico è successiva alla formulazione della diagnosi. Una volta che sia stata accertata la situazione di rischio o di abuso conclamato, e sia stata valutata positivamente la trattabilità del bambino e della famiglia, va realizzato un progetto di terapia integrata medica e psicologica.
La terapia medica Ha come obiettivo la cura delle lesioni e delle eventuali patologie conseguenti all'abuso. In alcuni casi potrebbe rivelarsi molto utile un monitoraggio periodico delle condizioni fisiche e di accrescimento dei bambini, realizzato dal pediatra di base in collaborazione con le strutture ospedaliere.
La terapia psicologico – psichiatrica La presa in carico è rivolta sia al bambino che alla famiglia, e, se necessario, fornendo consulenza alla scuola. Si compone di una psicoterapia individuale per il bambino e di una terapia della famiglia. Nei casi di separazione o di divorzio l'intervento è rivolto ai due nuclei familiari. Quando si tratta di bambino molto piccoli, o comunque, in età pre-scolare, la terapia può consistere in incontri del terapeuta con la coppia madre-bambino e con quella padre-bambino. Questo tipo di intervento va effettuato soprattutto in quei casi in cui il bambino deve recuperare il rapporto con un genitore o quando i genitori devono essere aiutati ad acquisire una loro competenza genitoriale.
Informazioni più complete sull'argomento di tuo interesse le puoi trovare visitando i siti:
Linee Guida per la Prevenzione e Cura di Violenze e Abuso sui Minori
Gruppo di lavoro S.I.N.P.I.A. sugli abusi in età evolutiva
Mamme folli o senza cuore?
Ti indico, infine, un libro del 2001 dal titolo: La sindrome di Munchausen per procura AA. VV. Costo € 40.80 Editore: Centro Scientifico Editore. Presentazione Il volume presenta una delle sindromi sinora meno conosciute o facilmente individuate di abusi infantili. Solitamente condotti dalle madri, questi tipi di abusi vengono spesso confusi con malattie di vario genere, tutte persistenti o recidive o croniche e che spesso diventano mortali. Motivate dalla necessità di sentirsi al centro dell'attenzione, le madri affette da questa sindrome provocano malattie o ferite o avvelenamenti nei loro figli, e in alcuni casi arrivano ad indurne la morte, per poter svolgere apparentemente il ruolo di madri devote e disponibili a dedicare la loro vita alla malattia dei figli. Questo libro esamina le cause, le manifestazioni e le conseguenze di questa grave forma di abuso rispetto al quale ci sono ancora molti aspetti da analizzare. Nella speranza di esserti stato utile ti faccio un grosso in bocca al lupo.
Risponde
Mario Poli, Dottore in Psicologia




Domanda
Gradirei mi consigliaste siti su cui è possibile visionare materiale sulla "Sindrome di Munchausen"al fine di realizzare una tesi sull'argomento. Sicuro della vostra disponibilità, porgo distinti saluti. Grazie
Risposta
Caro Giuseppe, innanzitutto, a riguardo della sindrome di Munchausen, può essere curioso saperne in qualche modo l'etimologica: tale sintomatologia prende il nome dal bizzarro “barone di Maunchausen”, realmente esistito, personaggio peraltro di una storia di G.A.Burger che combatté a fianco dei Russi contro i Turchi..egli si ritirò in un castello e lì intratteneva i suoi ospiti con racconti e storie esagerate ed inverosimili. Da qui, quindi, il riferimento per la sindrome, ovvero l'invenzione ed esagerazione di fatti o sintomi clinici riportati da individui che si rivolgono costantemente alle cure mediche. Si tratta dunque di un terribile disordine mentale attraverso il quale la madre simula, per così dire, la malattia del figlio raccontando storie fantastiche e farneticando su sintomi fittizi..il tutto per accaparrarsi trattamenti che le chiariscano la malattia difficile da diagnosticare. Potremmo, in definitiva (visto che tale sintomatologia può portare addirittura alla morte del figlio), pensare ad un disturbo tale per cui la madre sembra essere orribilmente ‘contro' il figlio, ma non è così semplice. Tutta la sintomatologia della sindrome di Munchausen rappresenta l'esasperazione di personalità che necessitano di un senso idilliaco di controllo della situazione: dunque, come peraltro dice il dott. Paolo Chellini, non tanto odio verso il figlio, quanto piuttosto amore patologico..non bisogno di controllo totale sul figlio quanto semmai sulla situazione a suo riguardo. In proposito a ciò puoi intanto leggerti, appunto, questa risposta del dott. Chellini, da Vertici Network, che analizza la questione attraverso un'ottica soprattutto sistemica:
La sindrome di Munchausen
La letteratura dice che raramente si tratta di donne con una vera e propria malattia mentale: si possono dire affette da Disturbo della personalità Istrionico, Borderline, Passivo-Aggressivo, Narcisistico, Paranoide.. e in qualunque modo si voglia etichettare la questione si tratta comunque di donne che combattono la sensazione interna di vuoto assumendo quel ruolo di madre devota e mega pronta al sacrificio: la malattia serve a queste donne per crearsi una sorta di personaggio utile e, per loro, indispensabile per colmare un Io fragile dall'autostima più che incerta. Può esserti utile anche questa risposta del Dott. Mario Poli, sempre da Vertici Network:
La sindrome di Munchausen
Nel seguente link, invece, puoi trovare un'articolo a riguardo tratto da LA REPUBBLICA SALUTE, n.° 419 - 30 settembre 2004:
La sindrome di Munchausen
Alcuni aricoli in inglese sull'argomento puoi trovarli qui:
Dr. Marc Feldman's Munchausen Syndrome, Malingering, Factitious Disorder, & Munchausen by Proxy Page
Un testo su tutti: La sindrome di Munchausen per procura Autore Levine A.; Sheridan M. S. Prezzo € 40,80 Dati 500 p. Anno 2001 Editore Centro Scientifico Collana Attualità in medicina e psicologia Descrizione: Il volume presenta una delle sindromi sinora meno conosciute o facilmente individuate di abusi infantili. Solitamente condotti dalle madri, questi tipi di abusi vengono spesso confusi con malattie di vario genere, tutte persistenti o recidive o croniche e che spesso diventano mortali. Motivate dalla necessità di sentirsi al centro dell'attenzione, le madri affette da questa sindrome provocano malattie o ferite o avvelenamenti nei loro figli, e in alcuni casi arrivano ad indurne la morte, per poter svolgere apparentemente il ruolo di madri devote e disponibili a dedicare la loro vita alla malattia dei figli. Questo libro esamina le cause, le manifestazioni e le conseguenze di questa grave forma di abuso rispetto al quale ci sono ancora molti aspetti da analizzare. In bocca al lupo per la tua tesi Giuseppe!
Risponde
Andrea Migliarini, Dottore in Psicologia
Domanda
Buon giorno, volevo sapere cosa spingeva un genitore ad avvelenare lentamente il proprio figlio (sindrome di Munchausen). Non posso pensare che sia un gesto nato da odio nei confronti di un bambino non voluto. Potrebbe trattarsi di un voler a tutti i costi, esercitare un controllo totale sulla vita del proprio piccolo? Una specie di cordone ombelicale "infinito", dove, una madre, inconsciamente vuole un potere totale?Grazie.
Risposta
Gentile Mara,la Sindrome di Munchausen per procura è chiaramente una manifestazione di un sistema familiare patologico al cui interno le dinamiche intersoggettive hanno una connotazione di invischiamento ossessivo. In altre parole, sono d'accordo con Te nell'ipotizzare che dietro questa sindrome non ci sia odio nei confronti del bambino, ma piuttosto una sorta di amore patologico, non tanto per il bambino in se, ma per la situazione che esso con la sua “presenza” genera. A differenza di Te, non cedo che si tratti di voler controllare il bambino direttamente ma, come ho accennato prima, la situazione. Creo che sia possibile e utile, per la nostra comprensione, analizzare questa terribile sindrome attraverso i dettami della Terapia Sistemica. La ricerca clinica su queste tipologie di famiglie evidenzia come i genitori siano persone con bassi livelli di autostima, grosse difficoltà nei rapporti interpersonali, una forte diffidenza nei confronti delle novità, etc. Da quanto detto è ipotizzabile che queste famiglie, nel loro insieme, rappresentino per le figure genitoriali (credo che sia corretto allargare la dinamica anche a più generazioni: nonni, zie, etc.) delle nicchie collusive di tranquillità da mantenere a tutti costi. Proviamo ad immaginare il “ruolo” del bambino all'interno di una dinamica simile: due soggetti con una struttura di personalità poco differenziata (cioè con una scarsa capacità di autodeterminazione) dalle rispettive famiglie di origine creano un nuovo nucleo familiare. La nascita di un figlio rappresenta un momento di passaggio ricco di emozionalità con un forte riconoscimento sociale, a questo punto, la comunicazione intrafamiliare comincia ad essere completamente incentrata sul nascituro, nonni, zii e parenti vari iniziano a rinforzare la madre e indirettamente il padre nel loro nuovo ruolo. Proviamo ad immaginare che questa donna, per la prima volta, senta di avere un ruolo proprio all'interno della funzione di accudimento del figlio. La sua identità inizierà a strutturarsi nell'immagine della madre accudente che potrà dare il massimo di se nei momenti di malattia del figlio, quando tutti la interpelleranno per vere notizie sulla sua salute. Penso, che a questo punto, ci siano delle buone probabilità che questo tipo di comportamento così gratificante sia un qualcosa che inconsciamente possa essere ricercato dalla madre. A questo punto, qualsiasi spinta di autonomia esplorativa del bambino sarà vissuta dalla madre come perdita del proprio status sociale che potrà essere riconquistata solo nei momenti di malattia. Posso supporre, a questo punto, che come meccanismo di difesa dall'ansia pervasiva che la madre proverà nella perdita del suo stato di soggetto accudente si potrà generare una sorta di proiezione della realtà idealizzata. A questo punto le spinte evolutive del bambino si trasformeranno in segni di malattia che solo Lei potrà vedere e curare, in una sorta di escalation dove la relazione con il figlio acquisterà per Lei e purtroppo, in alcuni casi, per tutta la famiglia una sorta di vincolo delirante e invischiante. Con questo non voglio dire che la dinamica da me descritta sia una regola per l'emersione di questa sindrome, ma purtroppo credo che molte di queste interazioni patologiche che si possono generare all'interno delle famiglie, possano essere riconducibili ai fattori da me descritti. Spero di non avere semplificato troppo la descrizione di questa terribile sindrome che la cronaca ci ha riportato all'attenzione, ma credo che questa descrizione relazionale possa avere un qualche valore di realtà. Ricordiamoci sempre quello che la teoria della complessità ci fa notare con il “Principio di equifinalità”: cioè si può partire da presupposti diversi e ottenere risultati uguali, o partire da presupposti uguali e ottenere risultati diversi. Tutto questo per dire che quello che ho scritto è solamente una ipotesi esplicativa di una realtà molto complessa, ma soprattutto molto dolorosa per chi ci è immerso.
Risponde
Paolo Chellini, Psicologo




Ieri sera nella puntata del seguitissimo Dr House Medical Division si è parlato della Sindrome di Munchausen: una paziente si iniettava volutamente un farmaco che simulasse l'alterazione dei valori del sangue oltre a procurarsi dei lividi sul corpo.La sindrome è fra le patologie psichiatriche più complesse e assurde e spesso sfiora il franco comportamento criminale.Munchausen è il nome di un barone realmente esistito (1720-1797), che combatté a fianco dei Russi contro i Turchi e, una volta ritiratosi nel suo castello, si rese protagonista di racconti completamente inventati, e francamente surreali, sulle sue gesta, attribuendosi prodezze e atti eroici mai compiuti. L’espressione "Sindrome di Munchausen" fu invece utilizzata clinicamente per la prima volta da R. Asher nel 1951 su Lancet per indicare soggetti che simulavano dei sintomi fisici o se li provocavano volontariamente sottoponendosi a interminabili trafile ospedaliere e diagnostiche e persino a interventi chirurgici multipli anche invasivi.Il DSM IV definisce la sindrome come disturbo cronico fittizio con segni e sintomi fisici predominanti.Secondo una ricerca condotta un decennio fa, più del 5 per cento dei contatti tra medico e paziente avverrebbero per sindrome di Munchausen, che è cosa diversa dall’ipocondria configurandosi come un tentativo deliberato di ingannare il personale medico e paramedico.La patologia nasce quasi sempre dall’esigenza del paziente di attrarre l’attenzione su di sé, di essere oggetto di cura e premura da parte dei curanti e dei familiari e di “esistere”, agli occhi del proprio mondo relazionale, come "un eroe della malattia".Quando i trattamenti a cui il paziente si sottopone sono invasivi o debilitanti è possibile rintracciare una componente masochistica e autolesionistica.Una variante particolarmente perniciosa della malattia si verifica quando il paziente determina la sintomatologia patologica in un'altra persona, spesso si tratta di madri nei confronti dei figli.In questo caso la sindrome prende il nome di Sindrome di Munchausen per procura o sindrome di Polle dal nome vero del figlio di Munchausen morto in tenera età in circostanze sospette. L'espressione "Sindrome di Munchausen per procura (MSbP)" fu usata per la prima volta nel 1977 sempre su Lancet dal pediatra inglese Roy Meadow, per descrivere appunto madri che simulavano o provocavano malattie nei figli allo scopo di attrarre su di sé l’attenzione degli altri.Le modalità dell'abuso infantile erano e sono molteplici e fantasiose, talvolta mortali.Sono state descritte somministrazioni di lassativi per produrre diarree, pseudoematurie (spesso al momento del ciclo mestruale materno), pseudoinfezioni delle vie urinarie da introduzione di pus nelle urine, pseudoglicosurie o anche ipoglicemie da iniezione di insulina, ipernatriemie da apporto abnorme di sale, avvelenamenti farmacologici.


Gli Autori dopo aver inquadrato da un punto di vista teorico la Sindrome di Munchausen per Procura quale disturbo fittizio per Procura secondo le indicazioni fornite dal DSM-IV, offrono una disamina delle varie forme nelle quali si manifesta tale sindrome, dei principali e più comuni metodi attraverso i quali le madri procurano le malattie ai figli. Di seguito viene descritto un caso sospetto di Sindrome di Munchausen per Procura giunto all’attenzione dei sanitari dell’Unità Operativa di Pediatria del Policlinico Universitario “Le Scotte” di Siena; i dati relativi sono stati raccolti attraverso la ricerca e l’analisi attenta dei vari documenti reperibili e delle cartelle cliniche.
L’esame dei casi riportati in letteratura evidenzia da una parte la scarsa conoscenza dell’argomento da parte dei sanitari e la conseguente difficoltà di diagnosi, dall’altra una ulteriore difficoltà ovvero l’inquadramento in termini psichiatrici o meno del comportamento della madre, dal momento che tale sindrome appartiene certamente al sapere clinico.
Gli Autori, infine, evidenziano la necessità di una maggiore attenzione verso i bisogni formativi espressi dai soggetti che a vario titolo e per loro stesso mestiere sono coinvolti.
LA SINDROME DI MUNCHAUSEN PER PROCURA:
INQUADRAMENTO E ANALISI DI UN CASO
Anna Coluccia* - Lore Lorenzi**
* Professore di Criminologia e Difesa Sociale, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Siena ** Specialista in Criminologia, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Siena
KEYWORDS
Violence, minors, prevention
PAROLE CHIAVE
Violenza, minori, prevenzione
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1. INQUADRAMENTO TEORICO DEL PROBLEMA
La Sindrome di Munchausen per procura è da sempre stata oggetto di studio
soprattutto per le particolari modalità di estrinsecazione e per il coinvolgimento di
bambini in qualità di pazienti[1][2][3]. Proprio per la stessa natura, talvolta incomprensibile,
dei sintomi, tale sindrome viene associata alla Sindrome di Munchausen, differenziandosi da quest’ultima solo per la diversità dei soggetti coinvolti; la Sindrome di Munchausen, infatti, ha come protagonista un adulto che si finge malato inventando un corteo di sintomi evocatori di quadri patologici veri
e propri con la conseguente creazione di comportamenti assolutamente sconcertanti.
Tale Sindrome trova la sua prima definizione ad opera dello studioso
Asher[4] nel 1951 che la utilizza appunto in riferimento a quelle persone che si
rivolgono continuamente e con insistenza ai medici ed agli ospedali adducendo
disturbi frequenti e spesso inesistenti fino a riportare conseguenze estremamente
dannose a causa degli accertamenti sanitari e degli interventi chirurgici cui si sottopongono.
La Sindrome di Munchausen per procura (da ora in poi SMP), invece,
si caratterizza per il coinvolgimento di un adulto, verosimilmente un genitore, più
spesso la madre, che sottopone il figlio o i figli a lunghe e rischiose analisi o ad
accertamenti diagnostici, a volte, decisamente invasivi per l’accertamento della
patologia “raccontata” all’operatore sanitario di turno; tale situazione può arrivare
sia a danneggiare gravemente l’incolumità fisica e psicologica della vittima, figlio,
sia esitare nella morte di quest’ultimo; l’autore della SMP, comunque, fa assumere
alla vittima lo stile di vita del malato.
La scelta della terminologia Sindrome di Munchausen per procura
(Munchausen sindrome by proxy) è accreditata dagli studiosi[5][6] al pediatra Roy
Meadow dell’ospedale di St. James a Leeds, in Inghilterra, che nel 1977 pubblica
una ricerca nella quale descrive due casi di SMP riguardanti situazioni di creazione
di malattie da parte di madri. Il primo caso descritto racconta la storia di una
madre ritenuta responsabile di introdurre sangue nelle urine della figlia di pochi
anni, in quantità tale da alterare in maniera inspiegabile i valori degli esami clinici
inducendo così i medici a sottoporre la bambina a numerosi trattamenti sanitari.
Il secondo caso, invece, riguarda una madre che somministra al figlio dosi tossiche
di sale da cucina, costringendolo così a ripetuti ricoveri ospedalieri e ad accertamenti
di ogni genere, che portano ad una guarigione in fase di ospedalizzazione
con relativa recrudescenza dei disturbi contestualmente al ritorno in famiglia; il
caso si conclude, secondo il racconto del pediatra, con la morte del minore.
Nonostante altri Autori quali Ackerman, e Burman, Stevens[7][8] abbiano
introdotto come termine per definire la Sindrome di Munchausen per procura,
quello di Sindrome di Polle in riferimento al nome del figlio del Barone di
Münchausen, morto in circostanze strane all’età di un anno, l’accezione ormai
accreditata è stata Munchausen sindrome by proxy.
Meadow fornisce una lettura dei casi assai interessante offrendo una serie di
utili indicazioni sulle caratteristiche comportamentali che tipicizzano l’autore della
SMP riscontrabili poi, nella letteratura medica successiva, quali atteggiamenti di
collaborazione con il personale medico durante la degenza dei figli, dimostrazione
63 STUDI E RICERCHE
di sentimenti di riconoscenza per le cure che il personale offre al figlio uniti a sentimenti
di gratificazione per le attenzioni che il personale sanitario comunque presta
loro.
Il DSM-IV[9] non si esime dall’esprimere la difficoltà diagnostica di tale sindrome;
nonostante, infatti, la malattia oggi conosca un’importante attenzione da
parte degli addetti ai lavori, rimane poco conosciuta soprattutto perché i protagonisti
di tale comportamento hanno una straordinaria capacità di simulazione. La
Sindrome, pur soffrendo delle iniziali difficoltà di inquadramento nosografico, ha
ottenuto una collocazione scientifica nel DSM-IV che, considerandola espressione
di un disturbo del comportamento, la inserisce all’interno del “Disturbo Fittizio per
Procura”. Il Manuale, inoltre, tenta, non senza sforzo proprio per la mancanza di
una cornice teorica entro la quale inserire la sindrome, l’individuazione di criteri
capaci di aiutare la rappresentazione nosografica della malattia, criteri che sono
individuati nella produzione intenzionale e nella simulazione di segni o sintomi
fisici o psichici in un bambino generalmente piccolo da parte di un genitore, più
spesso la madre. Il responsabile, quindi, “fabbrica” nella vittima i sintomi di una
malattia vera e propria oppure “fortifica” sintomi già presenti. L’ultima edizione
del Manuale[10] a questo proposito, descrive il Disturbo Fittizio per Procura in tal
modo: “La caratteristica essenziale è la produzione deliberata o simulazione di
segni o sintomi fisici o psichici in un’altra persona che è affidata alle cure del soggetto.
Tipicamente la vittima è un bambino piccolo, e il responsabile è la madre del
bambino. La motivazione di tale comportamento viene ritenuta essere il bisogno
psicologico di assumere, per interposta persona, il ruolo di malato”.
I metodi impiegati dalle madri nel tentativo di procurare la malattia nei propri
figli sono molteplici e talmente ben predisposti che si rende estremamente difficile
da parte dei medici e dello staff ospedaliero in generale, capire le innumerevoli
malattie “fittizie” create appositamente a danno delle piccole vittime. Meadow[11]
tenta già nel 1982 uno schema semplificativo di erronee diagnosi formulate in capo
alla vittima prima della scoperta della definitiva diagnosi di SMP (Tav.1).
Le tecniche usate dall’autore della SMP sono assai varie e spesso alcune di
queste assumono tratti di crudeltà vera e propria; gli Autori Franzini e
TAV. 1 - Diagnosi erronee più comunemente poste prima della definitiva diagnosi di SMP
- Malattie granulomatose croniche
- Diabete mellito
- Grande male epilettico
- Emosiderosi polmonare
- Rettocolite ulcerosa
- Disordini ipofisari
- Encefalopatia
- Malattia celiaca
- Fistola retto-vescicale
- Osteomielite
- Porfirie
- Dermatite herpetiforme
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Grossberg[11] descrivono casi di bambini cui sono stati iniettati feci, urina, saliva
ed ancora flora fecale e microbi vaginali per via endovenosa. La letteratura registra
inoltre, casi nei quali alle vittime sono state somministrate sostanze di varia natura
sia di uso domestico quali il sale da cucina, il pepe, l’acqua, lo zucchero in quantità
tali da risultare gravemente dannosi, sia sostanze medicinali quali i tranquillanti
e i sedativi, i lassativi e i diuretici, l’insulina ed ancora sostanze quali gli olii
minerali, lo sciroppo di ipecacuana, il veleno per topi, l’arsenico. A volte accade
che il protagonista del comportamento munchausiano somministri alla vittima
sostanze medicinali utilizzate abitualmente da membri della famiglia quali gli ipertensivi;
quella di stornare i farmaci dal loro normale uso terapeutico (es. ipertensivi
usati da un parente) per destinarli alla vittima rappresenta, infatti, una ulteriore
modalità di creazione di sintomi di malattia.
Riunire in un’unica tavola di riferimento le sostanze adoperate per la creazione
di un quadro patologico ad hoc è assai difficile, una sintesi di quelle maggiormente
utilizzate per indurre avvelenamento ci è offerta nel 1996 dagli studiosi
McClure, Davis, Meadow, Sibert[12] come riportato nella tavola riassuntiva
(Tav.2):
Dall’esame della letteratura emergono ancora quadri di maltrattamenti al bambino
particolarmente violenti e pericolosi come le punture di spillo nel viso e nel
corpo allo scopo di causare sanguinamenti, le lesioni facciali provocate utilizzando
le unghie o strumenti di varia natura, il soffocamento attuato con la mano o con
un cuscino posto sul viso del bambino, la deliberata sottoalimentazione in un
ambiente casalingo sporco e trascurato, l’induzione di attacchi epilettici o di perdita
di coscienza attraverso la pressione esercitata su una grossa arteria del collo.
Inoltre si registrano forme indirette e/o “sofisticate” attraverso le quali si arrecano
danni al bambino come quella di manipolare i campioni destinati alle analisi di
laboratorio, alterando, ad esempio, la quantità di sangue nei campioni di urine che,
solo successivamente attraverso un confronto del gruppo sanguigno, viene riconosciuto
non appartenenti a quel soggetto[13].
Una classificazione più ampia e dettagliata è proposta dallo psichiatra
Bools[14] il quale descrive dieci categorie di metodi con i quali vengono posti in
essere comportamenti munchausiani (Tav. 3).
Tav. 2 - Più comuni sostanze usate per indurre avvelenamento
- Anticonvulsivanti
- Oppiacei
- Paracetamolo
- Benzodiazepine
- Antidepressivi triciclici
- Sale
- Antistaminici
- Monossido di carbonio
- Altre sostanze
65 STUDI E RICERCHE
Di seguito elenchiamo i più comuni metodi con i quali può realizzarsi il quadro
patologico rientrante nella SMP secondo la classificazione dello studioso
Bools:
1) racconti narrati dall’autore della SMP di apnea: si fa riferimento ad episodi che
vanno dagli attacchi epilettici fino agli stati che necessitano della rianimazione
cardio-polmonare; tali eventi vengono sempre minuziosamente descritti al
medico dall’autore della SMP ma non supportati da alcun tipo di prova, neanche
dalla conferma di un testimone visto che, di solito, si verificano alla presenza
del solo genitore munchausiano.
1b) altri racconti: si fa riferimento a fabbricazioni di malattie di varia natura quali
allergie, ematuria, problemi respiratori, sanguinamenti, vomito, affezioni
gastrointestinali;
2) falsificazione dei campioni da analizzare e dei documenti: questo metodo
implica che il protagonista del comportamento munchausiano abbia ottime
conoscenze mediche;
3) avvelenamento: questo metodo di fabbricazione comprende l’utilizzo di
sostanze quali i lassativi, i tranquillanti, gli analgesici non-oppiacei, i farmaci
per il diabete, il sale comune, gli antidepressivi oppiacei e i veleni non medicinali;
4) soffocamento: questo metodo consiste nell’ostruzione delle vie aeree superiori
con conseguenti crisi apnoiche; come affermato da Merzagora Betsos[15],
riguardo tale metodo, si sono ipotizzate delle correlazioni tra la SMP e la SIDS
(Sudden Infant Death Sindrome ovvero Sindrome da Morte Infantile
Improvvisa);
5) produzione di sintomi attraverso metodi diretti: questo metodo consiste nell’introduzione
di materiale infetto per via endovenosa: sale, urine, feci, acqua,
ecc.;
6) produzione di sintomi attraverso la non somministrazione di nutrimenti alimentari
e di medicine: questo metodo comprende le restrizioni dietetiche, la
mancata somministrazione di farmaci essenziali per la salute del bambino o la
mancata osservanza dei controlli medici indispensabili al bambino;
Tav. 3 - Più comuni metodi di abuso nella SMP
- Soffocamento per ostruzione delle vie aeree
- Avvelenamenti con anticonvulsivanti, oppiacei, lassativi, diuretici, barbiturici, teofillinici, codeina,
arsenico
- Avvelenamento con sale, zucchero, acqua
- Manomissione dei campioni da analizzare o delle cartelle cliniche
- Introduzione di frammenti di varia natura nelle basse vie urinarie
- Induzione di febbre con l’introduzione di sostanze immunizzanti
- Drenaggio di grosse quantità di sangue
- Lesioni del cuoio capelluto, degli arti, del volto con spilli o con percosse
- Colorazione della cute (con betadine) per simulare l’itterizia
- Sanguinamenti indotti manualmente o con l’utilizzo di anticoagulanti
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7) fabbricazione di disordini psichiatrici: riguardo questo metodo in letteratura
sono riportati casi nei quali le madri hanno fatto ricoverare i figli in unità psichiatriche
riferendo storie di allucinazioni e comportamenti bizzarri di interesse
psichiatrico[16];
8) problemi fittizi in gravidanza: questo metodo comprende travagli simulati,
sanguinamenti inventati, maltrattamenti al feto;
9) fortificazione dei sintomi alla presenza di una malattia fisica vera: tale metodo
viene considerato come una variante di SMP e si caratterizza per l’esaltazione
dei sintomi di una malattia vera e propria fino a renderli esagerati.
Molti studi concentrano i loro sforzi sull’individuazione dei comportamenti
dei protagonisti attivi della SMP, comportamenti in presenza dei quali nei sanitari
dovrebbe sorgere il sospetto di trovarsi di fronte a tale sindrome; Agosti,
Gentilomo, Merzagora[17] combinando i criteri di Eminson e Postlethwaite, di
Meadow, di Rosen et al. hanno tentato la sintesi di tutta una serie di situazioni la
cui presenza dovrebbe far nascere, appunto, almeno il “dubbio” di un caso di SMP:
- segni e sintomi bizzarri, che non si trovano in alcuna malattia conosciuta o che
sono incongrui rispetto a quadri patologici noti, difficilmente verificabili e in
numero eccessivo (più di cinque ma anche più di dieci sintomi diversi);
- il trattamento non ha alcuna efficacia;
- segni e sintomi compaiono solo quando i genitori (per lo più la madre) sono soli
con il bambino;
- il genitore ha o esibisce qualche conoscenza di medicina;
- il genitore ha un comportamento troppo controllato rispetto alla gravità dei problemi
del bambino ovvero, secondo Eminson e Postlethwaite[18], è la continua
ricerca di aiuto medico nonostante le rassicurazioni dello staff medico che deve
mettere in sospetto;
- il genitore stabilisce relazioni fin troppo strette e cordiali con i membri dello
staff ospedaliero;
- il genitore non lascia mai il figlio da solo durante la degenza;
- vi sono precedenti di malattie insolite o di morti strane nei fratelli o comunque
in famiglia.
E’ intenso lo sforzo da parte della letteratura scientifica di individuare indicatori
diagnostici delle situazioni munchausiane; oltre ai comportamenti sopra elencati
è facilmente individuabile un’altra caratteristica del genitore ovvero quella di
essere “itinerante sanitario”:egli inizia un percorso sanitario il cui scopo principale
è quello di evitare la relazione terapeutica con una sola struttura sanitaria e di
conseguenza cambiare più interlocutori sanitari; le “peregrinazioni” infatti sembrano
motivate dalla necessità, una volta che gli accertamenti hanno escluso patologie
vere e proprie oppure dopo che gli interventi chirurgici hanno esaurito richieste
e risposte terapeutiche, di andare alla ricerca di un ambiente nuovo nel quale
poter recuperare ex novo la credibilità di paziente[19]. Quanto alle conseguenze
prodotte sulle vittime, esse possono essere molteplici; il ricorso continuo ad accertamenti
diagnostici talvolta molto invasivi, a cure di qualunque natura, ad inter-
67 STUDI E RICERCHE
venti chirurgici come anche la somministrazione di sostanze dannose come sopra
detto, possono certamente procurare danni fisici fino naturalmente alla morte; non
vanno però tralasciate le conseguenze di natura psicologica di tale maltrattamento
verificabili anche a lungo termine. Come ben evidenziato da Merzagora
Betsos[20], nei bambini vittime della sindrome si possono presentare anche dopo
alcuni anni dai fatti problemi quali serie difficoltà di apprendimento e di concentrazione,
problemi comportamentali a scuola e in casa, problemi a livello emotivo,
incubi notturni, sindrome ipercinetica, sintomi propri del Disturbo Post-traumatico
da stress; si riscontrano inoltre, immaturità, relazioni simbiotiche con le madri,
aggressività. Infine, soprattutto se la Sindrome coinvolge gli adolescenti, non è
raro che questi ultimi sviluppino sintomi di conversione fino a comportamenti di
vera e propria collusione con le madri in una sorta di folie à deux sviluppando
anche loro una Sindrome di Munchausen.
Riguardo poi all’inquadramento della SMP in una apposita icona penalistica, le descrizioni fenomenologiche dei comportamenti munchausiani fanno ritenere di poterla inserire nella fattispecie di cui all’art. 572 c.p. che disciplina il reato di maltrattamenti in famiglia. Anche la maggioranza degli studiosi[21][22] è concorde nel ritenere che la SMP possa essere inquadrata da un punto di vista legislativo nell’ambito dell’art. 572 c.p. come speciale forma di abuso e maltrattamento sui minori sulla base appunto, delle conseguenze estremamente lesive arrecate alle vittime.
2. DESCRIZIONE DI UN CASO SOSPETTO DI SINDROME DI MUNCHAUSEN
PER PROCURA
Di seguito riportiamo un caso inquadrabile nell’ambito della SMP osservato nell’Unità Operativa di Pediatria del Policlinico Universitario “Le Scotte” di Siena.
I dati relativi sono stati raccolti attraverso la ricerca e la disamina dei vari documenti
reperibili e delle cartelle cliniche. S., la vittima, nata nel 1983 proviene da una regione del Sud-Italia. I genitori hanno un’età compresa tra i 35 e i 40 anni; la madre fa la casalinga e il padre di origine straniera fa l’impiegato. S. ha una sorella di due anni più grande che, in base a quanto riferisce la madre, sembra essere in buona salute. S. presenta un normale sviluppo psicomotorio e un normale accrescimento staturo-ponderale, non soffre di patologie particolari fino a quando nel maggio 1992 all’età di 9 anni ca. iniziano a verificarsi alcuni episodi; al ritorno da scuola, infatti, la bambina presenta alcune macchie eritematose diffuse al torace che rendono necessario l’intervento del medico di famiglia. Dopo alcune ore dalla visita la bambina comincia a lamentare cefalea ed epistassi, quindi il medico curante, nuovamente interpellato dalla madre, consiglia di effettuare analisi di laboratorio.
Durante la notte la sintomatologia si attenua ma riprende il mattino successivo con intensificazione dell’epistassi cui si aggiungono, secondo quanto riferito dalla madre, dispnea ingravescente e tumefazione al collo. Di fronte all’insorgenza di tali patologie la madre consulta un pediatra che diagnostica una crisi ipertensiva e predispone ricovero d’urgenza nel vicino Pronto Soccorso dove viene eseguita una TAC al cranio di cui la madre non è in grado di fornire il referto. Dopo le dimissioni la bambina viene sottoposta per alcune settimane a monitoraggio con apparecchio Holter pressorio dal quale non si evidenzia alcuna variazione significativa della pressione arteriosa; anche gli elettroencefalogrammi effettuati nello stesso periodo risultano nella norma. Nei mesi successivi, però, la madre riferisce che Silvia lamenta nuovamente cefalea accompagnata da epistassi e da uno stato di facile affaticabilità.
Nel gennaio 1993 si dispone il ricovero d’urgenza presso l’ospedale del proprio paese per l’insorgenza di dolori addominali; in seguito al sospetto di un’appendicite acuta le viene praticata un’appendicectomia. La madre riferisce successivamente che a questo riguardo il medico ipotizza una diagnosi di linfoadenomegalia; tale ipotesi però, è solo raccontata dalla madre senza riscontri documentali in merito. La settimana seguente a tale episodio S. lamentando nuovamente malessere diffuso, meteorismo, dolori addominali e diarrea viene ricoverata ancora una volta nel vicino ospedale per una sospetta occlusione e sottoposta a clisma opaco con risoluzione del quadro. Nonostante tali esami, la bambina continua a presentare dolori addominali con frequenza di 2/3 episodi settimanali. La madre riferisce inoltre, che contemporaneamente la figlia inizia a soffrire di capogiri continui, a
lamentare uno stato di facile affaticabilità e a subire un progressivo rallentamento
dell’accrescimento.
Stando ancora al racconto della madre, in questo periodo si verificano, con frequenza
sempre maggiore, tumefazioni dolorose alle articolazioni delle mani, della caviglia e del ginocchio prima in concomitanza di piccoli traumi, successivamente senza che ve ne siano. In seguito a tali episodi S. viene più volte condotta al Pronto Soccorso dove le vengono applicati vari apparecchi gessati senza però alcun riscontro documentale. Nel maggio 1994 mentre la bambina gioca con un pallone si procura la lussazione dell’articolazione coxo-femorale destra; nei mesi successivi in assenza di episodi traumatici, la madre riferisce ai medici, senza produrre alcun referto a conferma, di numerose lussazioni riportate dalla bambina alla spalla sinistra. Nel luglio 1994 al risveglio, S. accusa un forte dolore al piede destro che appare tumefatto; una radiografia evidenzia una frattura di lieve entità, forse all’astragalo, in seguito alla quale si rende necessario l’uso di stampelle per la deambulazione. Nel dicembre 1994 la madre racconta di una tumefazione asintomatica bilaterale alle mani della durata di circa otto ore. Nel gennaio 1995 la vittima inizia a presentare una sintomatologia caratterizzata da intenso dolore addominale, vertigini, rilassamento muscolare e diminuzione del visus; dal momento che tale quadro patologico si ripete a distanza di circa un mese S. viene ricoverata in un ospedale del Centro Italia nel reparto di Neuropsichiatria Infantile. Gli esami ematologici, radiografici e sierologici effettuati risultano però negativi; l’esame
ecocuore dimostra un lieve shunt destro-sinistro emodinamicamente insignificante.
In occasione di tale ricovero i sanitari effettuano una biopsia digiunale compatibile
con malattia celiaca. La bambina viene dimessa da quest’ultimo ospedale con diagnosi di lipotimia e celiachia e le viene consigliato di recarsi al distretto di cardiologia di un ospedale del Nord Italia per ulteriori test che, effettuati a breve distanza di tempo, consentono di diagnosticare episodi sincopali di natura vasovagale.
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Nel luglio 1995 S. viene sottoposta presso l’Istituto di Gastroenterologia di un ospedale del Centro Italia ad una serie di controlli dall’esito negativo. Dopo pochi mesi per il persistere della sintomatologia, viene ricoverata presso il reparto di Patologia Speciale Medica di un Ospedale Senese dove vengono riscontrate: ipofunzione del ginocchio destro, ipotrofia muscolare diffusa, scoliosi del tratto dorsale inferiore, ipotonia generalizzata ma con riflessi osteo-tendinei presenti e vivaci.
In seguito a tale quadro patologico si effettuano ulteriori esami: una biopsia
cutanea compatibile con diagnosi di sindrome di Ehlers-Danlos, una capillaroscopia
che non sembra compatibile con collagenopatia, una consulenza genetica compatibile
con diagnosi di sindrome di Ehlers-Danlos di tipo IV ed una consulenza dermatologica; quest’ultima evidenzia lesioni riferibili a collagenopatia tipo Ehlers-Danlos. S. viene pertanto dimessa con diagnosi di morbo celiaco e sospetta collagenopatia da approfondire con consulenza pediatrica.
Vengono riferiti successivamente ricoveri a Padova e in Svizzera ma la madre non fornisce mai documentazione sanitaria. Nel novembre 1995 S. viene ricoverata nel reparto di Pediatria dell’Ospedale Senese per precisare la diagnosi di enteropatia e collagenopatia; da una consulenza psicologica emerge che la bambina ha avuto un’infanzia contraddistinta da lutti e da assenze continuate della madre dovute a malattia, in una famiglia con una struttura chiusa. Da quest’ultimo ospedale S. viene dimessa con diagnosi di celiachia e sindrome di Ehlers-Danlos da rivalutare.
Nel gennaio 1996 rientra nel reparto di Pediatria dell’ospedale del proprio paese per la definizione diagnostica; nel periodo intercorso, come consigliato, la bambina ricomincia a deambulare autonomamente. Tra Natale e Capodanno tornano a verificarsi episodi di dolore addominale e meteorismo per i quali viene condotta al Pronto Soccorso dell’ospedale del suo paese dove le viene applicato un sondino rettale e viene effettuata terapia antispastica non avvalorata da documentazione clinica. Nel reparto di Pediatria viene effettuata una nuova biopsia cutanea che esclude definitivamente la diagnosi di Ehlers-Danlos; in seguito a riscontri diagnostici negativi i sanitari decidono la reintegrazione di glutine nella dieta ma la madre non accetta. Dopo questo episodio la bambina non viene più sottoposta a visite pediatriche. Successivamente S. viene sottoposta a ricovero in un reparto di Reumatologia ma da questo momento in poi non sono più reperibili informazioni a riguardo. La madre di S. si dimostra molto attiva e collaborante in ospedale offrendo la disponibilità a partecipare personalmente alla somministrazione della terapia alla figlia. Socializza molto sia con il personale medico che paramedico e manifesta un comportamento seduttivo soprattutto nei confronti del medico curante, al quale non di rado fa piccoli regali. Si mostra sempre attenta e preoccupata per
la figlia ma non al punto di essere ossessiva. L’esame del background culturale non
evidenzia studi inerenti la medicina nonostante abbia buone conoscenze mediche relativamente alle patologie della figlia. Nei confronti della bambina sembra esplicare
un rapporto di dominio; la figlia infatti, dimostra di essere completamente succube
della madre fino ad arrivare a partecipare attivamente alle narrazioni delle malattie di cui ella è afflitta raccontate dalla madre stessa ai medici.
Il sospetto di trovarsi di fronte a comportamenti inquadrabili nella SMP è sorto
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nei sanitari del reparto di Pediatria dell’Ospedale Senese nel quale S. era stata ricoverata;
secondo i medici, infatti, la storia clinica riferita dalla madre non collima in alcun modo con la storia anamnestica e i dati di laboratorio. La madre della bambina quanto al comportamento può essere definita come “itinerante sanitaria” dal momento che la documentazione sanitaria evidenzia che la bambina ha subito in un arco di tempo relativamente breve almeno 12 ricoveri in vari reparti di ospedali italiani, dal reparto di Patologia Medica a quello di Pediatria, a quello di Reumatologia.
Il padre risulta essere presente durante i ricoveri della figlia; viene descritto come una persona curata, di bell’aspetto e sembra essere più giovane della moglie, fatto di cui quest’ultima è molto gelosa.
3. RIFLESSIONI SUL CASO
Il caso riportato, si può dire, non ha avuto una conclusione nel senso di un disvelamento
del comportamento munchausiano della madre nei confronti della piccola S. bensì ha fatto sorgere soltanto dei sospetti nei pediatri e nei colleghi sanitari con i quali questi ultimi si sono consultati, sospetti cui peraltro, non è conseguito effetto alcuno (segnalazione alle autorità competenti, avvio di indagini,..); la madre infatti, accortasi di un’attenzione particolare dei sanitari nei suoi confronti, da “itinerante sanitaria”, ha prontamente eliminato dai suoi indirizzi ospedalieri quello di Siena. Ma il caso ha lasciato un notevole sconcerto nel personale infermieristico che a vario titolo si è rapportato con la madre; alcuni di loro infatti, hanno manifestato sentimenti di delusione nei riguardi della madre di S. che sembrava molto “affettuosa” con la figlia, riconoscente con il personale infermieristico con cui addirittura aveva instaurato relazioni amichevoli durante il periodo di
degenza della figlia. Il sentimento di delusione unito alla rabbia di essere stati strumentalizzati da parte della madre è situazione conosciuta in letteratura, alcune ricerche americane hanno già ben evidenziato questo[23] .
La madre protagonista del caso riportato risulta avere tutte le caratteristiche individuate in letteratura e nell’osservazione di casi clinici di SMP, ovvero una donna collaborante con gli operatori sanitari, piacevole, premurosa e piena di attenzioni nei confronti del figlio, perennemente accanto al figlio nel corso della sua ospedalizzazione[24], grata nei confronti dei medici che curano il figlio, comportamento questo, che li spinge sempre ad approfondire le procedure sanitarie.
Quanto alla figura del padre, il caso evidenzia certamente differenti modalità comportamentali rispetto ai casi osservati in letteratura; generalmente infatti, le figure paterne nei casi di SMP sono quasi sempre assenti dalla vita familiare, deboli, negligenti, con ruoli del tutto passivi ed insignificanti[25], tale assenza va interpretata anche nel senso del mancato coinvolgimento da parte della moglie che così può agire in piena libertà sul figlio senza interferenza alcuna. In letteratura[26] si riscontrano pochissimi casi in cui è il padre a porre in essere comportamenti inquadrabili nella Sindrome di cui si parla;
71 STUDI E RICERCHE
4. CONCLUSIONI
L’esame dei casi riportati in letteratura e di molte ricerche sull’argomento, evidenzia in riferimento al fenomeno di cui ci si sta occupando, due situazioni drammatiche: da una parte l’ignoranza sull’argomento proprio di quegli operatori sanitari che della SMP dovrebbero non solo conoscerne l’esistenza nosografica ma anche essere forniti di una adeguata preparazione tecnica sulle modalità attuative della sindrome medesima; dall’altra la difficoltà di diagnosticare la SMP dato che il quadro clinico con cui la malattia si presenta è estremamente vario in quanto varia e multiforme è la fantasia della madre che pone in essere la situazione munchausiana.
Ulteriore difficoltà è l’inquadramento in termini psichiatrici o meno del comportamento della madre dato che tale sindrome appartiene certamente al sapere clinico; a questo riguardo, va sottolineato come la maggior parte degli studiosi[27] ritiene che le madri protagoniste della SMP non presentino quadri patologici psichiatrici di notevole gravità quanto piuttosto sono riscontrabili Disturbi di personalità (Istrionico, Borderline, Paranoide).
La SMP ha inoltre, indubbie implicazioni di carattere psichiatrico-forense che richiedono un’attenta analisi caso per caso dentro il territorio della imputabilità nel senso anzitutto dell’accertamento della capacità di intendere e di volere dell’autrice del reato, nonché dell’accertamento del grado di incapacità ai fini soprattutto, della scelta eventuale del tipo di trattamento cui sottoporre la stessa. In letteratura[28] ritroviamo la descrizione di casi in alcuni dei quali si è fatto ricorso per le madri a trattamenti psicoterapici che però hanno avuto scarso successo nel senso di una mancata ammissione delle proprie responsabilità, in altri a terapie di tipo familiare.
Sono questi, a nostro parere, i casi in cui i due saperi, appunto, quello medico e quello giuridico stridono fortemente nella ricerca di una ermeneutica capace di soddisfarli entrambi e a ben riflettere il rischio è sempre quello di far valere l’uno a discapito dell’altro o di invocarne uno ancorchè l’altro.
Ci chiediamo a questo punto se nella descrizione di tale sindrome possiamo
definire i ruoli dell’autore e della vittima in maniera marcata o se, invece, ci troviamo
di fronte ad una sindrome con più vittime, ove l’autore è esso stesso doppiamente
vittima da un lato perché comunque il suo comportamento si declina in
circuiti diversi da quelli che naturalmente dovrebbero appartenere alla relazione
madre/figlio - qui svolta in termini distruttivi - e dall’altro perché comunque il
comportamento munchausiano integra ed invoca il rigore della norma penale. Tali
problematiche suggeriscono una via da perseguire e cioè lavorare per sorreggere i
bisogni formativi di quei soggetti che per loro stesso mestiere sono i possibili referenti
di quell’ “help” inespresso o non saputo cogliere della madre affetta da tale
sindrome. E’ dunque sul terreno della solitudine della madre affetta dalla SMP che
bisogna agire attrezzando i possibili referenti dell’ “help” a capire i segnali della
patologia in atto anche perché il grande alleato della madre munchausiana è il
medico o l’agente sanitario distratto o peggio ancora ignorante del fenomeno e che
con la sua inconsapevole collaborazione partecipa alla realizzazione del dramma
che la SMP pone in essere.
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[20] Merzagora Betsos I. Demoni del focolare, cit.. p.164 s., 2003.
[21] Caffo E. Abusi e violenze all’infanzia, Ed. Unicopli, 1982.
[22] Coluccia A. I c. d.reati contro la famiglia d’interesse medico-legale :dimensione sociale e ritardi normativi, Riv. It. di medicina legale, XI, 1989.
[23] Vedasi in proposito la ricerca condotta da Blix S. e Brack G. su 20 infermieri pediatrici di un ospedale di Indianapolis, venuti in contatto con casi di Sindrome di Munchausen per Procura, allo scopo di verificare la reazione degli stessi di fronte alla scoperta del caso in Blix S, Brack G, The effects of a suspected case of Munchausen’s Syndrome by Proxy on a Pediatrics nursing staff, General Hospital Psichiatry, 10, 1988.
[24] In alcuni casi osservati da lui osservati, Meadow descrive l’atteggiamento della madre verso il figlio “limpet-like”, ovvero come l’atteggiamento dell’ostrica che protegge la propria perla, in Meadow S.R., Munchausen sindrome by proxy, cit., 1982.
[25] Meadow SR. Suffocation, recurrent apnea and sudden infant death, The Journal of Pediatrics, 3, 1990; Franzini L, Grossberg JM. Comportamenti bizzarri, cit.1996.
73 STUDI E RICERCHE
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[27] Bools CN, Neale B.A., Meadow S.R., Munchausen syndrome by proxy: a study of individual psycopathology, Child Abuse and Neglect, 69, 1993.
[28]Waller DA, Livingston R, Alexander R. e Meadow S.R., Bools C.N., in Merzagora Betsos I., Demoni del focolare, cit., 2003.