sabato 23 dicembre 2006

TUTELIAMO I NOSTRI FIGLI 4

Dicembre 2006: mancano pochi giorni a Natale, sta per finire un altro anno e tutti tendono a fare i propri “bilanci”, tutti tendono a sperare che l’anno nuovo porti nuova vita.
I bambini scrivono le lettere a Babbo Natale…..il nostro bambino ha chiesto a Babbo Natale di poter stare più tempo con noi, ma Babbo Natale non potrà realizzare questa richiesta. Lui mi guarda e mi chiede “chi potrà realizzare il mio desiderio?” I suoi occhi diventano cupi. Lui non sa che né Babbo Natale, né io, né il papà….il nostro Babbo Natale è il Tribunale dei minori, i giudici…lui non sa!
“I figli hanno il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori di ricevere cure, educazione ed istruzione da entrambi….”
Ai giudici, uomini e donne, che nei tribunali possono aiutare o no i nostri figli a diventare persone, uomini e donne sereni chiedo, a nome del nostro bambino e di tutti i bambini del mondo, di capire che per i bambini è importante la parte affettiva più di ogni altra cosa e che le violenze non sono solo i maltrattamenti fisici.
La violenze psicologiche che vengono a subire nello squilibrio di un unico genitore possono creare danni seri nella loro crescita e contribuire a disfunzioni di personalità gravi.
Anche noi abbiamo scritto a Babbo Natale: Caro Babbo Natale porta sotto l’albero dei giudici questi libri: “Quando i genitori si separano” di Francoise Dolto; “Dove dormono i Bmbini?- l’affidamento condiviso: idee e proposte a confronto” di Maria Rita Parsi – Maria Beatrice Toro – Giorgio Vaccaio – Aurora Lusardi – Moreno Muglietta; “C’è anche il papà” di Ivano Baldassarre; “Mamma non m’ama – le madri cattive esistono” di Annamaria Bernardini de Pace.
E scrivigli, Caro Babbo Natale che li mandano i nostri bambini affichè nelle loro decisioni pensino ai loro cuoricini tristi.
Il potere del male usato ha fatto sì che un’assistente sociale facesse sentire mio marito e me “peccatori” perché cerchiamo di fare vivere al nostro bambino la famiglia….mi auguro che l’assistente sociale per Natale riceva “Quando i genitori si separano” e gli altri libri e che li legga con la coscienza aperta. Che diventi consapevole che nel suo lavoro ha un potere enorme, nonché senta la responsabilità. Non so se i giudici e le assistenti sociali si interroghino sull’effetto delle loro decisioni per i bambini………gli psicologi, domani, dovranno lavorare molto e dovranno essere molto bravi!
La Dolto asserisce che il bambino dovrebbe essere affidato al genitore che si costruisce una famiglia e spiega l’importanza per la struttura psicologica dei bambini, di vivere con una coppia di figure adulte che si amano e con amore sono vicine al bambino.
I bambini hanno bisogno di una coppia di figure adulte che li segua, questo li aiuta.
Vivere con un genitore unico crea disfunzioni, si rischia di non crescere bene psicologicamente e quindi di non poter vivere bene diventando adulti.
Il nostro bambino è fortunato perché io e mio marito ci amiamo profondamente e non siamo caduti nel tranello tesoci dall’assistente sociale e da tanti (avvocati, giudici ecc…) di sentirci sbagliati non siamo andati in crisi……molti ci cadono.
La madre ci è caduta, convinta dai suoi genitori, dall’avvocato, dai giudici che l’attenzione ed il rispetto per il bambino vengono dimostrati dal sacrificio di rimanere soli. Questo immortalarsi a madre sacrificata non aiuta nessuno…….però le concede un ruolo sociale mai avuto.
I nostri bambini, a differenza di quelli di genitori non divisi ma “duellanti”, possono sperare nel vostro contributo, operatori della tutela, per avere la possibilità, che dovrebbe essere diritto di tutti i bambini, di essere guardati, aiutati, amati e protetti per poter diventare domani persone che possono vivere serene, padroni di sé stessi e della propria vita.
Le necessità dei bambini non sono solo quelle materiali……..c’è stata la recita di Natale alla scuola materna…..come erano teneri, dolci i nostri bambini, emozionati, orgogliosi di farci vedere quello che hanno imparato…..
Perché il nostro bambino deve subire lo sguardo della madre che non pensa a lui ma alla sfida con il padre?
Avrei voluto che ci fossero le persone che hanno avuto il potere di decidere che il nostro bambino stia con la madre che ci hanno negato l’affido condiviso perché io e mio marito crediamo nell’attenzione al bambino.
Avrei voluto che vedessero i suoi occhi….è uscito serio, ha guardato la madre che si era messa in prima fila, è rimasto serio, poi i suoi occhi hanno cercato nella platea ha trovato il padre e poi me…ha sorriso, un sorriso che apre l’anima. Gli ho fatto l’occhietto d’incoraggiamento..potevo immaginare quello che stava provando. Erano otto giorni che non ci vedeva e la sera prima quando il papà l’aveva chiamato al telefono dopo neanche tre minuti (reali) la madre era intervenuta dicendo “dai basta, devi magiare”. Erano le 19.00.
Avrei voluto che i giudici e l’assistente sociale vedessero quel sorriso e vedessero l’abbraccio alla fine della recita...Vedessero quella madre che non rispettando il bisogno del bambino di stare con noi dopo otto giorni continuava a mettersi in mezzo. Erano le nostre tre ore dopo otto giorni….ma lei era troppo presa dal suo rancore, dalla sua immagine di madre premurosa…..
Continuo a leggere tanti libri per essere il più possibile in grado d’aiutare il nostro bambino, per capire, per evitare altri errori rispetto a quelli che a sufficienza mi sembra vengono commessi in nome di un amore genitoriale, che è ben altra cosa …..
La terapeuta Fracoise Dolto dice che “madre” è una, quella che ti mette al mondo, ma non è detto che questa diventi “mamma” cioè in grado di darti l’attenzione, l’amore, la serenità.
Madre e padre sono coloro che ti concepiscono, papà e mamma saranno forse gli stessi, ma potrebbero essere altri. Mamma e papà possono essere anche più di uno. Trovo molto bello tutto questo. Un bambino che ha più di una mamma e di un papà sarà fortunato perché vuol dire che ha tante persone adulte che si interessano a lui. Credo che le madri gorgone, medee combattano tutto qesto perché così non sentono dentro quanto sono inadeguate come mamme, o solo per errate convinzioni sociali, o perché donne con problemi.
Il nostro bambino sin dall’inizio ha chiesto di poter avere due mamme, è stato “massacrato” dalla madre…..così quando si sente particolarmente giù mi garda e dice “tu sei mamma”.
Ha imparato a scrivere in stampatello PAPA’ – MAMMA ed il suo nome, orgoglioso ci fa vedere poi mi guarda indica con il ditino la parola MAMMA e mi dice “Sei tu”.
Giudici dei tribunali, assistenti sociali perché non sentite tutto questo?
Vi auguro un buon Natale ed un nuovo anno pieno di decreti più attenti, affettivi e “dotti”….vi auguro di poter sentire l’amore che io e mio marito sentiamo tra noi quando siamo insieme. E’ questo amore che ci permette di vivere e lottare e cercare di dare il meglio anche per quelle poche ore che il nostro bambino è con noi. Il meglio non perché fatto di tutti sì, il meglio come adulti, come genitori, come coppia.

mercoledì 13 dicembre 2006

TUTELIAMO I NOSTRI FIGLI 3

Tre anni fa, condividendo con mio marito tutto ed amandolo senza giudizio, abbiamo deciso di chiedere al Tribunale di Roma di regolamentare gli incontri con il figlio che mio marito cinque anni fa ha avuto dalla donna con cui in quel momento aveva una relazione. Mio marito ama profondamente il bambino e da sempre non si è tirato indietro rispetto alla responsabilità di padre.
La madre del bambino che aveva fatto un accordo molto “libero” da subito ha dimostrato poca disponibilità ma soprattutto l’uso del bambino per potere verso di lui.
Abbiamo chiesto al Tribunale un pomeriggio in più e la conferma dei giorni già stabiliti. Nel frattempo era stata approvata la legge del condiviso e quindi lo abbiamo chiesto.
E’ arrivato il decreto del Tribunale: è stato rifiutato il condiviso e nella pratica ci è stato tolto un giorno, sono stati aumentati i giorni delle vacanze. Non è stata data una motivazione se non “l’alta conflittualità” tra i genitori. Volevamo poter dare al bambino una continuità ed una costanza di presenza affettiva (che ci chiede)…..
Abbiamo tanti dubbi (oltre tanto dolore): non ci importa una guerra fine a se stessa, ci interessa che gli occhi del bambino siano sereni ed ora non lo sono. Si parla di madri malevole, di madri cattive, di sindrome di Stoccolma ed altro….credo che questa donna sia un po’ tutto ma dimostrarlo sembra impossibile.
Ci chiediamo se il nostro avvocato si è mosso in modo adeguato…ma siamo consapevoli di tante storie come la nostra se non peggio…….
Vorremmo sentire dei pareri e se vi è possibile vi chiediamo:

- è possibile il rifiuto al condiviso con la motivazione “alta conflittualità tra i genitori?”
- è possibile chiedere che l’attuazione del decreto venga bloccata in attesa dell’appello?
- fare l’appello comporterà tempi di nuovo lunghi , il bambino cresce e soffre. Forse dovremmo chiedere altro?
- è possibile poter fare il genitore sulla continuità e costanza senza dover aprire una guerra di distruzione? Perché per aver realizzato un diritto/dovere bisogna dimostrare l’inadeguatezza dell’altro?


madresenzacattedra

lunedì 4 dicembre 2006

TUTELIAMO I NOSTRI FIGLI 2: come opporsi ad una palese ingiustizia? Affido condiviso - legge 8 febbraio 2006

Novembre 2006:
continuando a credere nella giustizia e nei valori dell'onestà e del rispetto e nel dovere degli adulti di proteggere i bambini cerchiamo di trovare il modo migliore per articolare il ricorso consapevoli di quante cose non dipendono da noi una realtà surreale, un incubo. Il bambino soffre e ci chiede risposte, il tempo passa, i tempi sono troppo lunghi ed ogni giorno di più nei suoi occhi leggo disillusione, rabbia, rassegnazione.

I suoi occhi, quando lo lasciamo dopo i brevi incontri "concessi" sembrano dire "Me la devo cavare da solo per sopravvivere". È troppo piccolo per capire che la realtà ci ha impedito di fare altro. Prima di scendere dalla macchina fa un lungo sospiro, i suoi occhi diventano bui, ci dice "vi voglio bene". Sceso dalla macchina controlla con lo sguardo se sono già scesi a prenderlo (madre o nonni). Se non c'è nessuno ci abbraccia e rimane nell'abbraccio, se ci sono invece si imposta ci saluta freddamente, ma i suoi occhi parlano, e si avvia ad affrontare la realtà. È troppo piccolo per doversi gestire come un adulto che ormai ha perso le speranze.

I bambini devono poter avere speranze, sogni devono poter vivere gli affetti senza paura. Devono poter credere nel domani. È troppo piccolo per dover essere già rassegnato!



I tempi della legge, del ricorso sono tanto lunghi, troppo.

Poi come dicono molti non è detto che le cose cambieranno.

Molti dicono "aspettate che cresca, vedrete che poi sarà lui a scegliere e verrà da voi".

Ma non è questo il problema.

Il problema è che lui ora ha bisogno di poter essere libero di crescere in modo sano, con sincerità per essere domani sereno. Questa non è violenza psicologica?



Ci deve essere questa possibilità ci sarà un giudice, un avvocato, un legislatore che crede veramente nel dovere di tutelare i bambini e come noi, ed altri, non si rassegna?

Credo che spesso si sbaglia senza saperlo, ma se ce ne accorgiamo possiamo cambiare.



Se non è dimostrabile quanto male sta facendo questa donna, forse senza neanche rendersene conto, forse la strada potrebbe essere al contrario: dovrebbero dimostrare quale male facciamo noi visto che a noi hanno "punito". Se noi che chiediamo possibilità di presenza, di occuparci del bambino con continuità siamo stati relegati a ruolo di frequentatori occasionali, ci dovrebbero dare almeno la spiegazione di quale danno hanno stabilito che producevamo nel bambino.

Perché se qualcuno ha stabilito che eravamo dannosi ci deve dare la possibilità di capire per migliorarci.

Se questo non è, allora questo giudizio è arbitrario.

Chiedo a chi conosce più di me la legge: è legale da parte della giustizia "condannare" senza prove?



Vedete signori giudici, avvocati, legislatori credo sia facile occuparsi di pedofili, dei violentatori o di chi manifestatamene ed in modo eclatante produce danno.

Vi comprendo non è facile smascherare le sottili violenze psicologiche che si realizzano nel privato ma queste sono molto più frequenti delle altre.

È più facile difendere un'omicida o un ladro, è più facile condannarlo. Nessun avvocato si ritiene omicida o ladro, nessun giudice. Ma tutti hanno avuto madre e padre e molti sono padri e madri. Forse queste sentenze toccano corde personali.



Ho letto che i bambini quasi sempre una volta cresciuti capiscono che la madre che ha fatto passare il padre per "cattivo" è la vera "cattiva" ma vi rendete conto che a quel punto questi bambini saranno adulti senza figure genitoriali?



Mi chiedo, da ignorante nella materia, non si potrebbero alleggerire le prassi burocratiche dichiarando che l'affido condiviso, nel momento che è legge, viene dato in automatico a tutti e che solo chi non lo vuole deve presentare domanda?

Non si può dire che i bambini devono stare egual tempo con ciascun genitore (secondo le condizioni di realtà: due genitori che vivono troppo distanti, ovviamente non sono egualmente frequentabili, un genitore che non ha lo spazio per ospitare i figli è certo in situazione difficile, un genitore che per lavoro non può esserci certo sarà penalizzato ma i genitori che hanno gli spazi adeguati per i bambini, che sono vicini territorialmente, che non hanno problemi con l'orario di lavoro e che avendo una famiglia sono pienamente in grado di occuparsi del bambino sì!) e che devono opporsi a questo solo le situazioni in cui è dimostrabile un rischio o danno per il bambino?

D'altronde quanti bambini di genitori coabitanti vivono i disagi dati da coppie che non si amano? Perché la legge collude così facilmente con comportamenti di madri che solo perché insoddisfatte di se stesse e della propria vita usano i figli per rovinare la vita di altri?



Certo, sono consapevole che ci sono storie peggiori, situazioni ancora più drammatiche ma credo che i bambini in assoluto non dovrebbero mai avere occhi così tristi e provocare la paura data da un genitore. Paura del suo potere silenzioso così ben mascherato da un sorriso o risata falsa.

I bambini a tutto questo non hanno strumenti per reagire, per tutelarsi, per combattere sono costretti a soccombere.

giovedì 30 novembre 2006

TUTELIAMO I NOSTRI FIGLI: legge 8 febbraio 2006 n.ro 54 AFFIDO CONDIVISO

Ottobre 2006:

il decreto tanto atteso (tre anni) finalmente….. i giudici hanno deliberato secondo la vecchia legge togliendo ogni possibilità al bambino di viversi il padre in modo adeguato e facendo trionfare la madre ed il suo senso di possesso…. Da giorni ripeto dentro di me, per calmare l'atroce dolore che provo che mi porterebbe a giudicare, a negare la giustizia, ad accusare di disonestà e cecità tante persone, che un giudice prima è persona e quindi se sbaglia nella sua sentenza, se è "cieco" di fronte alla realtà lo è nei suoi limiti di essere umano; se una madre è egoista, disonesta, cattiva lo è come persona e questo lo comprendo pensando alla sua povertà ed insicurezza di persona. Pensare che una madre è così è terribile, è terrificante pensare che una persona è così, è comprensibile, lei stessa è stata una figlia non vista.
Chiedo un aiuto un confronto, possibile che tanti bambini, che il nostro bambino debbano subire danni così evitabili eppure così pesanti in futuro?

LEGGE 8 FEBBRAIO 2006 N. 54: disposizioni in materia di separazione dei genitori ed affidamento condiviso dei figli

Signori giudici, nelle vostre stanze quando decidete, pensate ai volti di questi bambini? Avete le loro foto davanti? No, ritengo di no. Sono sicura di no, nessun essere umano colluderebbe con tale scempio. Possibile che non ci sia giudice o avvocato che abbia subito tutto questo……

Sapete, signori giudici, questa donna, che si fregia del termine "madre", come ha comunicato il decreto al bambino?

"Da oggi farai solo delle passeggiate con papà"

Avete idea del potere, coercitivo e manipolativo, di queste madri con dei bambini ancora molto piccoli? Enorme! Capite che nulla di tutto questo è amore? Caricare un bambino di tanti pesi?

Sapete come ha reagito il bambino? E' rimasto zitto, ha solo detto "Davvero" (che ovviamente la "madre" ha interpretato come gioia) annichilito.

Sapete, signori giudici, il bambino cosa ha fatto quando ha visto il padre? Ve lo racconto. E' salito in macchina e dopo un po' ha detto "E' vero che adesso faremo solo passeggiate insieme? Perché? Io voglio stare anche con voi!" Poi ha guardato la moglie del padre e le ha detto con volto serio "Mi prendi in braccio, mi stringi forte, mi fai le coccole" e per mezz'ora è rimasto in quell'abbraccio. Poi con un sorriso accompagnato da occhi tristi "Ora giochiamo?". Ed abbiamo giocato e riso, cercando di dimenticare per un po'.

Questo è quanto è accaduto signori giudici.

Avete poteri enormi, potere d'incidere sulla vita dei bambini, sui loro affetti, sulla loro salute mentale e psicologica, sul loro futuro di adulti. Sì, signori, perché queste sofferenze, questi disagi affettivi daranno vita ad uomini con forti disagi della personalità ed affettività.

Mi sto chiedendo se c'è una possibile correlazione tra l'aumento delle depressioni infantili, tra l'aumento dei suicidi tra gli adolescenti, dell'omosessualità, dell'uso di droghe ed alcol e queste vostre involontarie ma cieche deliberazioni a favore di donne che solo per il fatto di essere state feconde si attribuiscono il termine di madre ed il conseguente potere. Possibile che sia così difficile vedere che il loro uso dei bambini è strumentale alle loro invidie, gelosie, insicurezze? Alle loro paure di persone perdenti? Nulla a che fare con il ruolo di madre amorevole che pensa al bene del figlio pur con dei sacrifici sul suo orgoglio? Donne fallite, ma che con quel figlio acquistano potere anche rispetto ai loro genitori.

Signori giudici, che io sappia non c'è letteratura su bambini che hanno avuto due buone madri che dimostri danni, ma sicuramente ci sono quintali di letteratura sui danni causati da una sola madre cattiva. Perché allora dovrei sentirmi "colpevole" perché un bambino mi chiede l'affetto, la sicurezza, la protezione che ci si aspetta da una madre? Perché dobbiamo subire un decreto nato da una relazione di un'assistente sociale che sul suo essere donna si è permessa di giudicare una coppia che con amore crede al significato del matrimonio?

Ho letto la legge ed altro, ovunque si sottolinea del "bene del minore", di bigenitorialità importante per il minore, di tutela dei bisogni, tra cui il vissuto di famiglia e mi chiedo e chiedo a quanti (giudici, avvocati, operatori, genitori ed altri) siano disponibili a trovare delle risposte o per lo meno un confronto:

è bene per il minore dover "subire" senza motivo la diminuzione del tempo con il padre?
è bene per il minore vivere pensando che la madre ha potere unico? (la legge collude spesso con questa fantasia che nella strutturazione di personalità crea molti disagi)
è bene per il minore non poter avere quanto più possibile entrambi i genitori?
La natura comporterebbe avere i genitori insieme sempre. La società ha creato le alternative e la legge stabilisce le regole per queste "alternative". Nella tutela del minore, la legge non dovrebbe agevolare la natura? Certo ci sono situazioni in cui i padri sono latitanti e non hanno possibilità di starci……non si riesce ad obbligarli. Ma laddove un padre c'è e desidera realizzare la natura perché la legge lo impedisce? Perché la legge bastona questi padri, inasprendoli, portandoli in certi casi a dire….sparisco! o aver voglia di farla pagare.
Forse dovremmo rivedere tante storie, forse tanti padri giudicati irresponsabili, assenti lo sono diventati a causa di madri egoiste e cattive (che ormai sappiamo che esistono) e della legge che ciecamente le appoggia.
La legge dovrebbe essere giusta ed equa. Non avere pregiudizi o/e stereotipi.
è bene per il minore poter sentirsi dire "buongiorno" o "buonanotte" dal padre solo due volte al mese rispetto alle 26 volte dette dalla madre?
è bene per il minore poter pranzare o cenare solo due volte al mese con il padre rispetto alle 26 con la madre?
è bene per il minore dover negare affetti che gli sono nati spontaneamente rispetto ad affetti che gli vengono imposti perché gestiti con il potere? Queste non sono violenze?
è bene per il minore scambiare l'egoismo e le bugie della madre per amore ed onestà? Come potrà crescere con una struttura sana?
è bene per il minore vivere primariamente con una madre, che per interesse e potere si dimostra single? Non siamo una società basata sulla famiglia? Che carico avrà questo bambino, manipolato, verso questa madre che dichiara "sono solo tua" poi lo scarica dai nonni in verità per farsi la sua vita? Mi dispiace per questa donna che per sentirsi qualcuno ha bisogno di sentire di possedere qualcuno, il bambino. Ma provo dolore profondo pensando al bambino che deve subire questo. È violenza, violenza sottile, profonda, senza lividi e contusioni che si vedono ma ferite interne che sanguinano.
è bene per il bambino farlo sentire vittima e portarlo, come in alcuni "rapiti", ad essere protettore del proprio carnefice? Perché questo è quello che accade quando il bambino vede che un solo genitore ha il potere di togliergli l'altro, non sa che il vero potere è stato della cieca giustizia.
Da tre anni cerchiamo di documentarci, capire non per senso di proprietà del bambino…in fin dei conti avrei potuto pensare che per me era più comodo così, siamo giovani e visto il comportamento della madre, potremmo anche scordarci del bambino. Ma i suoi occhi non si possono dimenticare. I bambini hanno il diritto di ricevere "ali" per volare da adulti, non zavorre e pesi eccessivi per le loro anime.

I tempi dei tribunali sono così lunghi, se quell'assistente sociale che si è permessa di chiudere la "pratica" con un solo incontro fatto due anni fa andasse a scuola adesso che il bambino, cresciuto, riesce ad esprimersi di più, vedrebbe oltre quello che per forza ha voluto vedere.

Ho letto di un giudice che rinviando la decisione per un affido di un adolescente ha letto sul giornale che la ragazza si era suicidata nel frattempo. Quel padre aveva ragione, quella madre era una madre cattiva rabbiosa…..ma ora che importa, quella giovane vita non ha potuto volare!

Questa nuova legge potrebbe aiutare ma viene bloccata da pastoie burocratiche, da pregiudizi, da preconcetti, da vecchie abitudini nate in tempi diversi….nel frattempo troppi bambini, tra cui il nostro vivono il loro dolore in silenzio perché non in grado d'esprimerlo e di farsi sentire.

Chiedo se possibile una risposta, un confronto, un aiuto…..

Non sono abituata ad annoiare chi non è interessato e neanche a svendere il mio dolore e quello delle persone che amo. Se queste domande destano interesse in altre persone, padri, madri, avvocati, giudici, politici sono pronta a condividere la nostra storia personale convinta che forse così potremmo arrivare veramente, un giorno, a tutelare i bambini, figli del mondo.

Credo che sia dovere di tutti trovare soluzioni più giuste per loro se siamo in un paese civile.

Una donna, una moglie, madre senza cattedra!

Ringrazio le persone che ci risponderanno e coloro che già aiutano mio marito e me.

venerdì 15 settembre 2006

MAMME FOLLI O SENZA CUORE?

Mamme folli o senza cuore?
Succede, molto raramente ma succede, che una madre possa uccidere il suo bambino, il fatto esce in cronaca e scatena una psicosi collettiva. Colpire un essere innocente e indifeso è già di per sé inaccettabile per la nostra civiltà, che poi a compiere il gesto sia la stessa madre, colei che per definizione dovrebbe invece prendersene cura, risulta anche totalmente incomprensibile. Per capire, allora, e soprattutto per allontanare il timore che a un omicidio così efferato possa di punto in bianco risolversi qualsiasi mamma, si ricorre immediatamente alla patologia psichiatrica. Medici, avvocati e giornalisti cominciano a scavare nella vita dell’omicida per scoprire il seme della follia, tutti convinti che una grave malattia mentale sia contemporaneamente causa, movente e attenuante di un simile gesto. Il binomio violenza/psicosi appare confortante per la coscienza del cittadino “normale” ma può rappresentare, per l’assassino un facile ricorso alla non punibilità, e per il malato un ingiusto pregiudizio di colpevolezza. La professoressa Isabella Merzagora Betsos, direttore della Scuola di Specializzazione di Criminologia Clinica, ci aiuterà in questa intervista a capire quale sia il limite che separa il raptus di follia dalla volontà di uccidere, e quale sia il legame tra normalità e consapevolezza delle proprie azioni.
La violenza, comunque venga agita, all’interno del nucleo familiare è qualcosa che trasgredisce profondamente non solo i diritti umani e il codice penale ma anche la fiducia nei primissimi rapporti affettivi che ciascuno di noi instaura. Ecco allora che il giudizio popolare vuole riconoscere in questi atti la mano della follia, è davvero così?
Dipende da caso a caso: spesso, ma non sempre, certi comportamenti nascono e si alimentano in un clima “ammalato” da condizioni socio-economiche disagiate, dipendenza da alcol o droga, rapporti conflittuali. Non siamo di fronte ad una patologia psichiatrica ma è l’ambiente familiare e le sue dinamiche interne che sono patologici, in queste condizioni possono trovare spazio abusi, maltrattamenti, violenze psichiche e fisiche fino all’omicidio. In taluni casi, invece, una grave forma di depressione è all’origine di un gesto fatale, è ciò che si verifica quando uno dei genitori è talmente disperato da vedere come unica via di uscita la morte. Nella sua mente malata non vede futuro nemmeno per i suoi figli (o fratelli, moglie, parenti, conviventi) tanto da ucciderli, per sottrarli al mondo e ad un destino infelice, prima di suicidarsi. In termini criminologici questi atti sono definiti “omicidio pietatis causa” o “suicidio allargato”, psicologicamente sono dettati da eccesso di amore e protezione verso i propri cari.
Quindi il collegamento tra follia e violenza non è affatto scontato. Eppure, quando una madre causa la morte del proprio bambino, il ricorso alla perizia psichiatrica è quasi immediato.
Aggressività, violenza, odio fanno parte dell’animo umano, sono pulsioni che l’uomo ha imparato a contenere grazie alla progressiva civilizzazione della società in cui vive, ma non sono certo indice di malattia. Ciò che fa la differenza è il clima culturale in cui avviene il fatto: oggi in Occidente il figlicidio è guardato con raccapriccio e sconcerto, in altre epoche e in altre culture veniva e viene ancora percepito con minor gravità.In linea generale, potremmo affermare che il neonaticidio viene commesso indifferentemente da madri sane o affette da disturbo mentale, e la storia di questi crimini lo conferma. Scopo della perizia medica è chiarire se il soggetto fosse capace di intendere o volere al momento in cui ha commesso il fatto e in relazione al fatto stesso, ovvero se si rendeva conto di ciò che stava facendo. La presenza di una malattia mentale, anche grave, ma adeguatamente trattata, non implica la non coscienza e responsabilità delle proprie azioni; viceversa una psicosi trascurata e vissuta in condizioni di degrado può fare sì che il paziente compia atti violenti, contro se stesso oppure contro altri.
D’accordo, è chiaro quanto siano importanti l’ambiente familiare e il contesto sociale nel contenere sia la follia sia l’aggressività, ma Lei parla anche di madri “sane”. Quando non vi sono disturbi evidenti, come può una madre uccidere il proprio figlio?
Intanto ci terrei a fare una premessa sull’istinto materno, che tanti danno per innato e presente in ogni donna. Gli esseri umani non sono animali: non hanno istinti ma sentimenti e raziocinio, chi commette un assassinio, infatti, non uccide per la propria sopravvivenza o per quella della sua specie. L’uomo agisce in base a ciò che ha imparato perché gli è stato insegnato, le sue azioni sono culturalmente determinate, quindi ci si può aspettare che vi sia un sentimento materno, più o meno marcato a seconda dei soggetti, ma niente di più.Per quanto riguarda l’infanticidio in assenza di storia psichiatrica esso può rientrare in una di queste tre diverse dinamiche tipicamente femminili: Medea, Munchausen per procura e negazione della gravidanza. Da ultimo bisogna anche ricordare che, quando si tratta di disturbi psicologici o sofferenze nei rapporti interpersonali, la famiglia è sempre l’ultima a sapere e spesso rifiuta anche di riconoscere e affrontare questi disagi per non mettersi in discussione. Questo concetto sarà più chiaro dalla descrizione delle sindromi citate.
Partiamo con la storia di Medea che fa parte dei miti della letteratura greca antica, non è troppo lontana da noi?
Il tema è antichissimo, risale probabilmente al VI° secolo a.C. e se conoscono tante versioni, leggermente diverse tra loro, riportate da numerosi autori, quello che è interessante è però notare quanto sia ancora attuale. Medea sopprime i propri figli per vendicarsi del coniuge, per farlo soffrire; l’odio verso il partner viene quindi indirizzato verso il figlio, che rappresenta concretamente il frutto dell’unione e anche un antagonista meno temibile del partner stesso.Medea è un archetipo di donna in conflitto con il marito, i motivi di tale conflitto possono essere i più svariati: gelosia, invidia, orgoglio ferito, l’essere trascurata, ma l’esito è sempre la trasformazione dell’amore verso il coniuge in odio. Dopo questo viraggio dei sentimenti, il figlio diventa strumento per creare sofferenza o attirare attenzione da parte di colui che è il vero oggetto dell’ostilità materna. A parziale conferma, questi atti vengono spesso commessi subito dopo un evento scatenante, magari l’ennesima lite con il coniuge.
La sindrome di Munchausen per procura, invece, appare in tempi decisamente più recenti…
Sì, potremmo dire che è la versione moderna del figlicidio, resa possibile dalla grande disponibilità di strumenti diagnostici e terapeutici; un paradosso perché proprio quei presidi nati per garantire la salute finiscono per trasformarsi in armi nocive o mortali. Andiamo con ordine: l’espressione “sindrome di Munchausen” compare per la prima volta nel 1951 per descrivere quelle persone che si rivolgono insistentemente e inutilmente a medici e ospedali, riferendo continui quanto inesistenti disturbi, fino a riportare conseguenze dannose dai ripetuti accertamenti o, addirittura, dai molteplici interventi chirurgici. Alla triste applicazione ai bambini si giunge circa 20 anni dopo con la definizione di Meadow (1977) della “sindrome di Munchausen per procura”: situazione in cui i genitori, o inventando sintomi e segni che i propri figli non hanno, o procurando loro sintomi e disturbi (per esempio somministrando sostanze dannose), li espongono ad una serie di accertamenti, esami, interventi che finiscono per danneggiarli o addirittura ucciderli. Tipicamente la vittima è un bambino piccolo e il responsabile è la madre, cioè la persona a cui sono affidate le cure del bambino e che, per questo, si trova nella posizione migliore per simularne la malattia. Si ritiene che la motivazione di tale comportamento sia il bisogno psicologico di assumere, per interposta persona, il ruolo di malato.Questo fenomeno è sempre più diffuso o, probabilmente, più osservato da quando lo si è riconosciuto come eccesso d’amore che cade nella perversione. Contrariamente a quanto si penserebbe, infatti, queste madri sono sollecite, premurose, costantemente presenti e molto attente nel prendersi cura della salute dei figli. Agli occhi di tutti hanno un comportamento esemplare, inoltre sono amichevoli, cordiali, collaboranti e riconoscenti con il personale di assistenza, tutti atteggiamenti che, uniti ad ansia e insistenza, incoraggiano i medici ad approfondire gli accertamenti e distolgono anche solo il sospetto che si possa trattare di madri che, invece, maltrattano subdolamente i figli.
La negazione della gravidanza: anche qui, nonostante non manchino fatti di cronaca in proposito, appare alla maggioranza di noi quanto meno assurdo che si riesca a nascondere una gravidanza.
Certo perché i sintomi di una gravidanza sono ben evidenti, anche per chi non abbia mai avuto figli, ma alla luce di certi avvenimenti si deve riconoscere che non è sempre così. Mi spiego: analogamente al noto fenomeno della gravidanza isterica (pseudociesi), in cui un desiderio psichico condiziona il corpo tanto da indurre la manifestazioni tipiche della gravidanza, esiste anche il fenomeno opposto, ossia la negazione psicologica della gravidanza. La necessità di negare può essere così intensa da influenzare le manifestazioni biologiche, per cui molti dei sintomi possono essere assenti; in aggiunta la donna ricorre alla razionalizzazione, quale meccanismo di difesa, per spiegare in altro modo i sintomi fisici che invece avverte. La scoperta della gravidanza può avvenire accidentalmente, per esempio dopo una radiografia disposta perché la paziente lamenta dolori di schiena, oppure la negazione può coprire tutto il periodo della gestazione fino al parto. In quest’ultimo caso il parto non di rado avviene in una toilette, poiché la madre viene colta improvvisamente da inspiegabili dolori addominali, ed è caratterizzato da un periodo espulsivo molto rapido. Modalità così poco ortodosse unite al fatto che la nascita è un evento inatteso, possono far capire come la madre venga travolta da uno sconcerto emotivo che le impedisce di prestare le dovute cure al neonato, fino a causarne la morte.
A conclusione e per rassicurare ogni mamma, vale la pena ricordare che le situazioni particolari qui descritte sono estremamente rare, vero professoressa?
Innanzi tutto sono rarissimi gli omicidi delle donne: le statistiche mostrano chiaramente che gli assassini sono quasi sempre giovani uomini, mi pare doveroso sottolinearlo per correttezza e completezza dell’informazione. La casistica femminile riguarda, nella maggior parte dei casi, il figlicidio, tuttavia i profili descritti sono solo alcuni di quelli possibili. Diciamo che nel contesto di questa intervista si sono approfonditi i casi più “spinosi”, quelli che sono più difficili da prevedere, scoprire e comprendere. Nulla toglie, però, che situazioni di disagio familiare, o della figura materna, si risolvano con il passare del tempo, con la richiesta di aiuto medico o, comunque, persistano senza mai degenerare nel delitto. In parole molto semplici ciascuno di noi ha le sue stranezze e i suoi problemi, senza per questo essere un omicida potenziale.
Elisa Lucchesini
Fonti “Madri che uccidono” professoressa Isabella Merzagora Betsos VII Congresso Nazionale SOPSI (Roma febbraio 2002)

LA SINDROME DA ALIENAZIONE GENITORIALE

La sindrome di alienazione genitoriale

Guglielmo Gulotta* Professore universitario di "Psicologia Giuridica", Università degli Studi di Torino.
1. La sindrome di alienazione genitoriale: definizione e descrizione
2. Aspetti legislativi e ripercussioni sul minore
3. Criteri per una diagnosi differenziale
4. Fattori facilitanti lo sviluppo della sindrome
5. Conclusioni.
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1. La sindrome di alienazione genitoriale: definizione e descrizione
Si è affacciato da poco nella letteratura psicologica italiana il parametro concettuale della sindrome di alienazione genitoriale (Parental Alienation Syndrome - PAS). Così definita dallo psicologo forense Richard Gardner (1985; 1987; 1989; 1992), è stata oggetto di interesse della sezione di diritto di famiglia dell'Ordine degli avvocati degli Stati Uniti (Clawar, Rivlin, 1991) e di recente rassegna da parte dell'autorevole American Journal of Forensic Psychology (Rand, 1997a; 1997b).
Questa sindrome può essere definita come il comportamento di uno o più figli che nel contesto del conflitto intergenitoriale diventa ipercritico e denigratore nei confronti di uno dei genitori perché l'altro lo ha influenzato in questo senso indottrinandolo adeguatamente . Alcuni autori (Clawar, Rivlin, 1991) parlano anche di "bambini programmati" o ai quali è stato effettuato il "lavaggio del cervello" (brainwashed children).
La sindrome nella letteratura esistente viene descritta in base alle tecniche per produrla, alle motivazioni dei genitori per attuarla, alle caratteristiche dei genitori che la producono, alle caratteristiche dei bambini che li rendono più o meno plasmabili e agli effetti che produce. I risultati teorici ed empirici in materia sono sintetizzati con alcuni esempi nella tabella di pagina 36.

2. Aspetti legislativi e ripercussioni sul minore
C'è da scommettere che per la sua pregnanza l’utilizzazione di questa sindrome avrà fortuna nelle aule giudiziarie, anche perché l’Italia si rifà alla Convenzione Europea sui Diritti dei Minori del Consiglio d’Europa. Questo documento imporrà ai magistrati di ascoltare i minorenni in tutte le procedure familiari giudiziarie che li coinvolgono, in particolare nel caso di separazione e divorzio dei genitori, mentre l’art. 12 delle Nazioni Unite parlava di " possibilità * di essere ascoltati". Il minore dovrà essere informato di tutto ciò che lo riguarda, avrà il diritto di esprimere il suo parere e conoscere le possibili conseguenze delle sue opinioni. Eserciterà queste facoltà da solo o tramite qualcuno che lo rappresenta "in considerazione anche della sua età e della sua capacità di comprensione dei fatti".
In Italia la legge sulla separazione del 1970, modificata nel 1987, lascia al magistrato la possibilità di ascoltare il minorenne solo "qualora fosse assolutamente necessario anche in considerazione della sua età" (art. 4 c. 8). Insomma il minore non viene quasi mai sentito, se non in presenza di una perizia di carattere psicologico per cui egli viene ascoltato da un assistente sociale o da uno psicologo, ma il suo parere non ha assolutamente valore giuridico. Con le recenti novità legislative, il bambino non è più solamente oggetto della separazione e del divorzio, ma diventa soggetto attivo potendo esprimere un parere circa le cause del conflitto familiare e soprattutto sulla persona con cui preferirebbe stare.
Se l'opinione del minore diventerà rilevante, il coniuge sfavorito tenderà ad attribuire la preferenza del figlio alla "programmazione" del genitore scelto.
Così, chi avrà il compito di investigare per diagnosticare questa sindrome dovrà rendersi conto che essa non è stata "scoperta" come si scopre una malattia, ma costruita ed in un certo senso "inventata" come la sindrome del bambino maltrattato (Gulotta, 1995):
a) un fenomeno , nella fattispecie quello delle percosse e dei maltrattamenti a scopo educativo, da sempre accettato e considerato legittimo, viene rilevato, studiato e classificato da alcuni osservatori sociali (con riferimento a propri valori e parametri): in questo caso, alcuni radiologi e pediatri ritennero che un quadro caratterizzato da frattura e rifrattura in età pediatrica fosse probabilmente causato volontariamente e definirono questa condizione - come se si trattasse di una malattia - "sindrome del bambino maltrattato";
b) gruppi di pressione, come i mass media, sensibilizzati dagli osservatori sociali, si appropriano del fenomeno diagnosticato e definito drammatizzando- lo, descrivendolo e documentando casi particolarmente emblematici;
c) l’opinione pubblica inizia a percepire il fenomeno come problema e comincia a chiedere che si provveda per risolverlo;
d) organizzazioni scientifiche e/o professionali segnalano la grande ricorsività del fenomeno documentandolo statisticamente e prospettando soluzioni di prevenzione e trattamento;
e) agenzie di potere, spesso politico, offrono mezzi materiali ed economici per arginare e risolvere il problema;
f) il fenomeno viene amplificato rispetto alla sua reale portata:
- la drammatizzazione dei fatti porta per effetto della euristica della disponibilità (Nisbett, Ross, 1989) a considerare più frequenti eventi che sono rimasti più impressi nella memoria;
- l’ambiguità del fenomeno (quanti scapaccioni fanno un bambino maltrattato? dove finisce l' uso dei mezzi di correzione e quando inizia l' abuso ?) consente di far rientrare a discrezione nel problema anche eventi ambigui, per via della tendenza a preferire falsi positivi piuttosto che falsi negativi;
- la divulgazione di statistiche fa sentire il deviante (in questo caso il vero genitore maltrattante) come parte di una porzione significativa dell!
Bisogna invece evitare, in questa materia, di reificare delle metafore ritenendo che il "bambino alienato" abbia una sorta di malattia trasmessagli dal genitore e che, ogni qualvolta siano presenti critiche nei confronti di un genitore da parte del figlio, questi sia vittima della sindrome in questione.

3. Criteri per una diagnosi differenziale
Intanto è necessario stabilire che cosa non sia l'alienazione genitoriale: in tutte le famiglie, anche quelle intatte, si stabiliscono spesso delle alleanze talvolta spontanee, talvolta provocate ed in alcuni casi anche collusive (Willi, 1993) e spesso esistono delle preferenze dei figli verso uno dei genitori anche prima dell'insorgere del conflitto coniugale. I casi di conflitto intra ed interfamiliare (cioè all'interno della famiglia di origine e, successivamente, tra le eventuali nuove famiglie) che precedono, accompagnano e conseguono la separazione o il divorzio e le alleanze in specie con i figli sono comunque ancor più presenti perché possono servire a sostenere, influenzare, ricattare, ostacolare, riavvicinare.
Un'altra questione da tener presente è che tutta l'educazione dei figli consiste nell'influenzarli, nell'indirizzarli nella selezione dei valori e delle scelte di valutazione degli stessi, nelle diagnosi interpersonali, nell'adeguamento alle regole. La famiglia, inoltre, come insieme strutturato, tende a ricostruire continuamente la realtà in ordine alle proprie esigenze: quando essa si disgrega, è stato riscontrato da numerose ricerche empiriche (si veda Gius, Zamperini, 1995, per una rassegna) che i partner utilizzano una serie di attribuzioni di responsabilità che distorcono i dati reali al servizio della propria identità e della propria affermata correttezza o quantomeno limitazione di responsabilità in caso di eventi negativi.
Indipendentemente dalle accuse - spesso volutamente esagerate - che i partners in conflitto si scagliano nei processi per separazione personale con addebito, quasi tutti i separandi fanno attribuzioni di tipo self-serving ai danni del coniuge: la realtà che il genitore inculca nel figlio è spesso la sua reale realtà soggettiva, ricostruita per giustificare e per giustificarsi (Fincham et al., 1990; Harvey et al., 1992). Se questo è così comune, come distinguerlo da ciò che artatamente il genitore dice e fa per "alienare" il figlio? Dove finisce l'influenza educativa e dove inizia la programmazione? Quando ci troviamo di fronte ad una
preferenza, per così dire, "naturale", e quando invece essa è condizionata?
Proviamo ad individuare alcuni criteri distintivi di quest'ultima (oltre alle indicazioni riportate nella tabella successiva):
- il figlio cambia bandiera dopo l'affidamento provvisorio e senza una plausibile ragione;
- le critiche/accuse all'altro genitore appaiono inconsistenti, esagerate, contraddittorie o contraddette dai fatti;
- le critiche/accuse appaiono stereotipate, prive di dettagli e copia-carbone del pensiero di uno dei genitori;
- le critiche/accuse sono estranee all'ambito di esperienza di un bambino di quell'età (per esempio, un bambino di 6 anni che critica il padre perché "è incapace sul lavoro, si appoggia sempre agli altri, non sa farsi valere");
- formulazione di critiche/accuse che contengono informazioni che solo l'altro genitore può aver fornito ("Tua madre frequenta altri uomini quando noi non la vediamo");- ansia e paura nell'incontrare l'altro genitore in assenza di ragioni concrete (ad esempio, perché una figlia dovrebbe avere paura del padre dopo la separazione se prima non ne aveva?);- preoccupazioni volte a tutelare, senza una ragione specifica, un genitore rispetto all'altro;- ricerca di informazioni sul genitore bersaglio e/o considerazione delle informazioni sul genitore programmatore come segrete, da non divulgare;
- partigianeria a favore del nuovo compagno del genitore rispetto all'altro genitore biologico;
- presenza di razzismo familiare ("Noi siamo i Rossi, brava gente; i Bianchi invece sono dei buoni a nulla e prepotenti"; "Così è tuo padre e così è tuo nonno");
- ritenere che un genitore sia soltanto vittima e l'altro soltanto colpevole o responsabile con una visione manichea e senza sfumature.

4. Fattori facilitanti lo sviluppo della sindrome
La diagnosi è complicata dal fatto che l'alienazione genitoriale può avvenire anche in assenza di un programma consapevole da parte del genitore che se ne avvantaggia. Inoltre le strategie che possono essere messe in opera per indottrinare e istigare il figlio contro l'altro genitore possono essere dirette e indirette : entrambe ruotano attorno ad un tema principale ("Tuo padre ci ha fatto mancare il sostegno economico") con ramificazioni e ampliamenti generalizzanti ("È un buono a nulla come suo padre"), ma non sono spesso immediatamente riconoscibili.
Delle strategie dirette è più facile trovare traccia perché possono essere scoperte vagliando in filigrana il comportamento del figlio che ricalca le opinioni di un genitore a danno dell'altro in assenza di assorbimento delle ragioni espresse da quest'ultimo. In alcuni casi è poi possibile scoprire con quali minacce, promesse, premi si è guadagnata l'opinione del figlio.
Le tecniche indirette, invece, incidono più sottilmente sull'opinione e sul comportamento dei figli. Esse di solito consistono nel far leva sulle emozioni del bambino, sul suo senso di lealtà. Stratagemmi di questo tipo possono essere di varia natura e la letteratura psicosociale è piena di indicazioni su tecniche più o meno esplicite di influenza interpersonale (Gulotta, 1995; 1989). Proviamo ad elencarne qualcuna (oltre a quelle indicate nella tabella):
- raccontare aneddoti in cui l'altro genitore è perdente o ridicolo ("Ti ricordi quando tua madre è stata bocciata all'esame per la patente?");
- esagerare il proprio ruolo quale educatore sfumando quello dell'altro genitore ("Ti ricordi che io ti ho messo al mondo, allattata, curata, vestita, nutrita… mentre tuo padre lavorava tutto il giorno e stava con te solo la sera?");
soddisfare i desideri del figlio che l'altro limita o disapprova ("Se tua madre non vuole portarti allo stadio lo farò io");
mostrare gusti, idee, opinioni… diametralmente opposti a quelli dell'altro genitore;
"sgenitorializzare" l'altro genitore, ad esempio chiamandolo col nome proprio ("C'è Giovanni al telefono" invece di "C'è tuo padre al telefono"), togliendo le sue foto dalla casa…;
meta-comunicare in modo paradossale sull'altro genitore ("Ci sarebbero molte cose da dire su tua madre, ma io non sono uno che critica i genitori"; "Rispetto la decisione di tuo padre di venirti a trovare, che lo voglia veramente o meno"; "Lo sai che in fondo tuo padre ti vuole bene, anche se non ti sta più vicino)", creando doppi legami che lo confondono e lo rendono più facilmente suggestionabile;
mistificare le impressioni ed i sentimenti del figlio ("Non puoi essere scontento, con tutto quello che faccio per te"; "Non puoi voler bene a tuo padre, non hai visto come si è comportato?)";
chiedere continuamente al figlio cosa ne pensa dell'altro genitore, costringendolo a prendere posizione, e premiarlo o punirlo a seconda delle sue risposte.

È evidente che le tecniche descritte siano solo alcune di quelle maggiormente riscontrate nella letteratura e che sia sufficiente l'utilizzo di qualcuna di esse per provocare gli effetti descritti, ma ciò non esclude che altri metodi di brainwashing , tra gli innumerevoli esistenti, possano essere posti in atto, più o meno consapevolmente, determinando la sindrome di alienazione genitoriale.
Allo stesso modo, non è scontato che l'utilizzo di tali tecniche porti inevitabilmente il bambino a schierarsi con il genitore programmatore, soprattutto se il figlio possiede un livello di autonomia cognitiva, affettiva e sociale tale da impedirgli di essere suggestionato. Non si esclude peraltro che egli possa coscientemente accettare il ruolo ascrittogli e colludere con uno dei genitori per gettare discredito sull'altro al fine di ottenere un qualche tipo di concessione, per semplice vendetta a causa di un torto subìto o percepito come tale, per rendere più probabile l'affidamento al genitore preferito.
Nella letteratura vengono descritte alcune caratteristiche psicologiche e comportamentali del genitore bersaglio che faciliterebbero l'instaurarsi della PAS, anche se ad esso è generalmente attribuita un'importanza minore rispetto al ruolo del genitore programmatore (Wakefield, Underwager, 1990; Rand, 1997b):
- il sesso: in due terzi dei casi il genitore bersaglio è il padre, che ha quindi maggiore probabilità di essere vittima della PAS soprattutto quando viene accusato falsamente di abuso sessuale;
- la responsabilità attribuita per il fallimento del matrimonio: il genitore a cui viene attribuita tale responsabilità ha maggiore probabilità di divenire genitore bersaglio, soprattutto quando è stato infedele al coniuge o ha avviato una nuova relazione subito dopo la separazione;
- distanza emotiva dai figli: il genitore che ha un atteggiamento distaccato verso i figli ha più probabilità di diventare bersaglio della PAS in quanto reagisce alla situazione quando è troppo tardi e comunque viene percepito in modo negativo dai figli che tendono a preferire il genitore più vicino affettivamente;
- atteggiamento particolarmente passivo e ambivalente o, al contrario, aggressivo verso il partner, i figli e le questioni relative al loro affidamento ed alla separazione in generale: il genitore che si mostra poco risoluto verso le questioni attinenti l'affidamento dei figli o la separazione, e che quindi si lascia "guidare" dalle mosse dell'ex-partner senza reagire, ha maggiore probabilità di diventare genitore bersaglio perché permette all'altro di influenzare il figlio; anche il genitore che, al contrario, si mostra troppo aggressivo, diviene più probabilmente bersaglio della PAS, in quanto ad esso sarà più facile attribuire la "causa" del conflitto genitoriale.
Un ruolo importante nell'attenuare o aumentare le conseguenze della PAS è rivestito dalle terze persone che, oltre alla famiglia, entrano a far parte della disputa per l'affidamento dei figli. Dopo la separazione, si assiste infatti spesso alla creazione di vere e proprie alleanze degli amici e parenti della ex-coppia con uno dei due membri, che, ascoltando la sola "versione" della storia matrimoniale di una parte, tendono a perdere la propria obiettività. Se ciò è normale ed i nuovi "alleati" hanno spesso la funzione di supportare affettivamente il nuovo partner nel difficile momento che segue la separazione, essi possono però divenire in alcuni casi un fattore facilitante l'instaurarsi della PAS, in quanto collaborano, più o meno inconsapevolmente, a creare e sostenere le manovre dell'eventuale genitore alienante (Johnson, Roseby, 1997).
Tra i ruoli più importanti in questa dinamica vi è sicuramente quello dei nuovi partners , che possono diventare motivo di ulteriore conflitto facendo pressioni per ottenere concessioni in merito alle visite dei figliastri o al loro affidamento. In alcuni casi i nuovi partners sono i veri responsabili del conflitto nella coppia separata e possono dunque fungere da suo catalizzatore fino a spingere l'altro ad alienare il figlio e, nei casi estremi, ad indurlo a sostenere false accuse di maltrattamenti o di abuso sessuale. Più spesso, un fattore indiretto connesso ai nuovi partners che favorisce l'instaurarsi della PAS è quello relativo alle differenze culturali, sociali e religiose con l'altro genitore, che può fungere da ulteriore motivo di allontanamento del figlio.
In particolare, sono descritti nella letteratura numerosi casi di sindrome di alienazione genitoriale indotta attraverso l'appartenenza del genitore alienante e/o del nuovo partner a svariati tipi di "culti", che possono ruotare intorno ad un tema qualsiasi (religioso, culturale, ideologico…) ma al di là del quale presentano caratteristiche comuni facilitanti la PAS: la presenza di un leader carismatico che controlla i membri del culto, l'utilizzo dell'indottrinamento e talvolta di un vero e proprio lavaggio del cervello come modalità di apprendimento della nuova ideologia e di "rimozione" della propria autonomia di pensiero e
della propria storia di vita, l'isolamento da persone non facenti parte del culto ad eccezione di quelle presso cui si cercano nuovi adepti, l'instaurarsi di una visione manichea del mondo con forti valenze di in-group e out-group e di nuovi stili di vita diversi e dunque anche da quelli dell'altro genitore. Lo stato psicologico delle persone che si sono appena separate le rende più vulnerabili nei confronti di tali culti, spesso sentiti come mezzo di riconoscimento della propria "rettitudine": l'entrata nel culto rappresenta una sorta di inconscia redenzione morale atta a rimuovere i sensi di colpa che seguono alla separazione, attribuita totalmente all'ex-partner. I figli che si uniscono al genitore appartenente al culto subiscono a loro volta questo processo di spersonalizzazione, tanto più quando sono piccoli e non possiedono una sufficiente autonomia di pensiero (Greene, 1989; Singer, Lalich, 1995).
Infine, e non a caso tratto l'argomento proprio a conclusione di questo articolo, un ruolo di assoluta importanza nelle dinamiche conflittuali tra i genitori separati e dunque anche nell'eventualità dell'instaurarsi della PAS è quello dei professionisti che, a vario titolo, entrano nelle questioni relative all'affidamento dei figli: periti, consulenti tecnici di parte, psicoterapeuti, avvocati, giudici, mediatori, educatori.
Mentre per quanto riguarda i giudici le uniche raccomandazioni sono quella di valutare attentamente la situazione, in particolare se la preferenza del figlio verso un genitore sia genuina o indotta, e quella di utilizzare CTU capaci di riconoscere la presenza della PAS, rispetto agli altri professionisti si pone un problema di quale sia in questi casi il reale interesse del minore e delle parti .
Quanto al ruolo dell' avvocato o dell'eventuale tutore del minore, se è vero che questi deve tutelare gli interessi del proprio cliente, è altrettanto vero che quelli del genitore alienante e del minore alienato non corrispondono a quelli da loro espressi: il difensore dovrebbe astenersi dal colludere con il proprio assistito e cercare di persuadere il genitore alienante a mettere fine al comportamento patologico con il figlio, fino a rinunciare al mandato nel caso in cui il cliente non comprenda la situazione. A sua volta, l'eventuale tutore del minore dovrebbe adoperarsi allo scopo di mettere fine al processo di alienazione, il che prevede innanzitutto l'allontanamento immediato dal genitore alienante pur se il minore affermi di volere stare a tutti i costi con lui.
Veniamo ora ai professionisti della salute mentale . Quanto a quelli chiamati ad esprimere valutazioni con valenza giuridica, essi dovrebbero innanzitutto tener conto del ruolo da loro rivestito nel conflitto genitoriale, che, se mal gestito, può portare le parti ad affrontarsi ancora più duramente. È dunque necessario che essi si facciano carico, anche quando ufficialmente di parte, della intera situazione familiare, considerando la disputa genitoriale non come a "somma zero", ma come opportunità per tutti per far valere i propri interessi. Se ciò rientra di diritto nel ruolo del CTU, anche i consulenti di parte dovrebbero tenere presente che l'interesse primario è quello del minore, che non può certo essere diverso da quello dei genitori seppur questi non se ne rendono talvolta conto: nel caso sospetti la presenza di una PAS, il consulente del genitore alienante dovrebbe astenersi dal supportare le sue richieste e invece aiutarlo a comprendere che, continuando a mettere il figlio contro l'altro genitore, non lo sta tutelando ma, al contrario, lo sta danneggiando psicologicamente.
Tra i professionisti della salute mentale, merita una specifica trattazione il ruolo dello psicoterapeuta dei figli, che può diventare parte del sistema che alimenta la PAS, in particolare quando le uniche persone con cui effettua i colloqui sono il genitore alienante ed il figlio. Questa situazione si realizza purtroppo di frequente, in quanto il genitore che sceglie lo psicoterapeuta per il figlio, lo accompagna per la seduta e si fa carico del pagamento, è nella posizione di influenzare lo psicoterapeuta in merito al ruolo che questi adotta, agli obiettivi della terapia ed agli eventuali terzi partecipanti. Lo psicoterapeuta si trova così a svolgere la terapia sulla base di informazioni incomplete o false, rinforzando l'idea che il bambino debba essere "salvato" dal genitore cattivo, in realtà il bersaglio dell'alienazione genitoriale (Lund, 1995).
Tra i fattori interni allo psicoterapeuta che possono facilitare la collusione col genitore alienante, oltre alla misconoscenza della PAS, uno molto importante è quello della propria teoria di riferimento in merito alla influenza delle relazioni interpersonali sulla sofferenza psicologica. Campbell (1992) ha mostrato come gli psicoterapeuti che tendono ad effettuare inferenze negative sul ruolo svolto dai genitori separati possono rinforzare il senso di rabbia del bambino verso uno dei genitori. Così, quando il punto di vista personale dello psicoterapeuta verso il genitore bersaglio della PAS è negativo, ne scaturisce una forma più o meno sottile di influenzamento sul bambino, che facilita o rinforza l'emergere dell'alienazione o comunque la visione distorta della realtà del genitore alienante.

5. Conclusioni
In conclusione, come credo di aver mostrato, è fin troppo facile confondere l'apparente desiderio di un figlio di stare con uno dei genitori, quando l'altro è considerato negativamente, con una situazione di alienazione genitoriale: per questo motivo, da parte dei professionisti deputati a valutare queste situazioni sono necessari una conoscenza approfondita della materia ed un aggiornamento continuo sulla letteratura internazionale. La valutazione deve essere inoltre effettuata caso per caso ed in concreto ed affidata a persone che abbiano una specifica competenza professionale in materia. Ciò potrà servire ad evitare pericolose generalizzazioni e l'innescarsi di conflitti ulteriori rispetto a quelli già normalmente presenti nell'ambito dell'affidamento dei figli, l'interesse dei quali - è bene ricordarlo - deve essere punto di partenza e di arrivo di qualsiasi intervento psicologico e di ogni decisione giudiziaria.

Tecniche di induzione della PAS e di brainwashing

- Negazione dell'esistenza psicosociale del genitore bersaglio (non parlare mai del coniuge, non farlo vedere al figlio, togliere le sue foto dalla casa)
Negazione della critica verso il genitore bersaglio (criticare il coniuge davanti al bambino e, quando questi ripete la critica, attribuire a lui la fonte della critica)
Distruzione dell'immagine del genitore bersaglio (parlare solo in modo negativo del coniuge)
Manipolazione della situazione (dare false informazioni al coniuge sul figlio in modo che insorgano conflitti o fraintendimenti tra i due)
Marcamento delle differenze (far risaltare le differenze tra il coniuge bersaglio e se stessi od il figlio)
Induzione di alleanza (soddisfare tutti i desideri del figlio e/o quelli non soddisfatti dal coniuge)
Creazione di alleanze con persone frequentate dal figlio (insegnanti, amici…)
Induzione del senso di colpa (convincere il figlio che se farà certe cose significa che non vuole più bene al genitore programmatore)
Induzione del dubbio (far credere al figlio che l'amore dell'altro genitore è falso, interessato…)
Induzione della paura (dire al figlio che i suoi contatti col genitore bersaglio sono pericolosi per qualche motivo)
Ricostruzione della realtà (manipolare la storia familiare: "se sei nato è merito mio, tuo padre non ti voleva", quando magari il padre voleva solo aspettare un anno per sistemarsi professionalmente)
Punizione e ricompensa (minacciare/punire o premiare il figlio se…)
Promessa (promettere al figlio che il genitore programmatore migliorerà la sue condizioni di vita)
Doppio legame (comunicare in modo contraddittorio per rendere il figlio suggestionabile all'indottrinamento)
Mistificazione (manipolare i sentimenti del figlio)

Motivazioni dei genitori programmatori
Ottenere l'affidamento totale del figlio
Vendetta contro il partner
Ottenere concessioni economiche
Convinzione di essere il genitore più adatto
Allontanamento del figlio dal partner (ritenuto) criminale, tossicodipendente, alcolista, disturbato psichicamente, antisociale…
Paura di perdere l'affetto del figlio
Convinzione di aver "dato di più" al figlio rispetto al partner
Gelosia per la nuova situazione del partner
Salvaguardia del proprio senso di identità
Desiderio di staccarsi emotivamente dal partner
Timore che il figlio scopra fatti negativi sul conto del genitore programmatore
Mantenimento della relazione con il partner attraverso il conflitto
Desiderio di controllo e/o di potere
Nel caso in cui la coppia non sia sposata, concessione del matrimonio da parte del partner che lo rifiuta
Caratteristiche dei genitori programmatori
Le ricerche empiriche stimano che gli uomini separandi che utilizzano tali tecniche sono 2%-25% e spesso di carattere autoritario e rigido; le donne sono il 4%-85% del totale delle separande e sono generalmente quelle più indulgenti
Gli uomini utilizzano maggiormente metodi diretti, come il rapimento; le donne utilizzano maggiormente la manipolazione psicologica, ad esempio le false accuse di abuso sessuale, anche perché passano solitamente più tempo col figlio
In generale, i genitori programmatori sono narcisisticamente vulnerabili, immaturi, con bassa autostima, dipendenti dal figlio o dal nuovo partner che talora è il vero responsabile della programmazione
L'utilizzo delle tecniche di lavaggio del cervello è sovrarappresentato nelle seguenti categorie di genitori: tossicodipendenti, alcolisti, abusanti, genitori che accusano il partner di incesto, criminali in genere, disturbati psichicamente

Caratteristiche dei bambini plasmabili
Dipendenza da, identificazione, alto numero e durata dei contatti, esistenza di segreti, somiglianza con il genitore programmatore
Assenza di fratelli o sorelle o comunque di altre persone rilevanti oltre ai genitori
Paura e/o ansia anche indotte
Passività
Bassa capacità di insight
Presenza di sensi di colpa
Egocentrismo
Bassa autonomia
Bassa autostima
Bassa assertività
Importanza data dal bambino al fatto di avere genitori biologici o meno, a seconda della nuova situazione del genitore bersaglio
Età (fino ai 2 anni circa il bambino è poco suggestionabile; da questa età la suggestionabilità cresce fino ai 7/8 anni per rimanere costante fino ai 15/16: da questo periodo in poi, all'aumentare dell'età dell'adolescente l'insorgere di critiche ed accuse ingiustificate contro il genitore bersaglio è sempre più il frutto della sua menzogna intenzionale influenzata o meno dalla manipolazione genitoriale)

Effetti a breve e lungo termine sul bambino
Possono essere molto diversi a seconda delle tecniche utilizzate, della loro intensità e durata, delle risorse e dell'età del bambino, del fatto che egli creda o meno a quanto gli viene propinato.

In generale, gli effetti possono essere:
· Aggressività
· Mancanza di controllo e acting-out
· Problemi scolastici
· Paura immotivata del genitore bersaglio
· Ostilità verso amici, parenti, opinioni, azioni… connesse al genitore bersaglio
· Confusione emotiva e/o intellettiva
· Disordini alimentari, del sonno, dell'attenzione e psicosomatici in generale
· Dipendenza emotiva
· Bassa autostima
· Fobie
· Regressione
· Eccesso di razionalizzazione
· Futuro carattere manipolatorio e/o materialistico
· Depressione
· Comportamenti autodistruttivi e/o ossessivo-compulsivi
· Tossicodipendenza e alcoldipendenza
· Problemi sessuali, di identità di genere, relazionali, emotivi
· Disturbi dell'identità
· Egocentrismo
· Narcisismo
· Falso Sé
· Nei casi più gravi si rilevano anche sindromi di tipo psichiatrico (es. schizofrenia, psicosi paranoiche…)
Questo articolo è pubblicato sul sito http://www.minori.it/, che ringraziamo per la gentile possibilità di citazione (l'articolo si trova nel n. 4 dei Quaderni "Pianeta Infanzia").

LA SINDROME DELLA MADRE MALEVOLA 2

LA SINDROME DELLA MADRE MALEVOLA

Sommario
Con il crescere del numero dei divorzi che coinvolgono i bambini, è emerso uno schema di comportamento anomalo che ha suscitato scarsa attenzione. Il presente studio descrive la Sindrome della madre malevola nei casi di divorzio. Vengono dati degli specifici criteri nosologici con numerosi esempi clinici. Data la mancanza di dati scientifici disponibili sul disturbo, è necessario approfondire i problemi della classificazione, dell’eziologia, della cura e della prevenzione.

Indice

Introduzione

Definizione
Modello 1a: L'alienazione dei figli
Modello 1b: Coinvolgere altri in azioni dolose
Modello 1c: Eccesso di azioni legali
Modello 2a: Proibizione di visite regolari
Modello 2b: Libere conversazioni telefoniche con il padre
Modello 2c: Impedimento della partecipazione alle attività extracurricolari
Modello 3a: Menzogne malevole ai figli
Modello 3b: Menzogne malevole agli altri
Modello 3c: Violazioni della legge per danneggiare il marito
Modello 4: Comportamento non dovuto ad altro disturbo
Discussione

Introduzione
Un divorziato ottiene l’affido dei figli e l’ex-moglie gli brucia la casa. Una donna che era in guerra col marito per l’affido, compra ai figli un gatto pur essendo a conoscenza che il marito è allergico a questi animali. Una madre obbliga i figli a dormire in macchina per “dimostrare” che il loro padre li ha portati alla bancarotta. Queste azioni illustrano uno schema di comportamento anomalo che si è manifestato sempre più frequentemente con l’aumento del numero dei divorzi di genitori con figli.
Oggi metà dei matrimoni finiscono col divorzio (Beal e Hochman, 1991). Anche il numero dei bambini coinvolti nel divorzio è fortemente aumentato (vedi per es. Hetherinton e Arastah, 1988). La maggior parte di questi casi viene “risolta” dal punto di vista legale, ma la battaglia continua fuori dal tribunale.
I media si sono notevolmente impegnati al fine di aumentare la consapevolezza del pubblico sul problema dei padri divorziati che non provvedono al pagamento dell’assegno di mantenimento fissato dal tribunale. Hodges (1991) ha osservato che a tre anni dal divorzio solo il 20% dei padri divorziati provvede al pagamento dell’assegno di mantenimento. L’indagine sul conseguente peggioramento delle condizioni economiche delle donne (vedi per es. Hernandez,1988; Laosa, 1988) ha contribuito all’approvazione recente di leggi per affrontare il problema dei padri inadempienti.
Mentre i media giustamente descrivono le difficoltà causate alle donne e ai bambini dal fenomeno dei padri inadempienti, non si parla ancora della guerra ingaggiata da un gruppo distinto di madri contro padri che pagano regolarmente l’assegno e rispettano la legge. Tutti i giorni avvocati e terapisti ascoltano narrazioni simili a racconti dell’orrore in cui vengono attribuiti a padri innocenti comportamenti perversi. Purtroppo non vi sono dati scientifici sull’argomento. Anche la letteratura clinica ha ignorato il problema.
Si può trovare un’eccezione famosa negli scritti di Gardner(1987,1989) che ha descritto in modo eccellente la Sindrome da alienazione parentale che si manifesta con una serie di manovre attuate con successo dal genitore affidatario per alienare il figlio dal genitore non residente. Dopo essere stato sottoposto ad un efficace condizionamento, il bambino è “dominato dall’idea di denigrare e disapprovare uno dei genitori in modo ingiustificato e/o esagerato” (Gardner, 1989 pag.226). Nei casi tipici di Sindrome da alienazione parentale la madre e il figlio mettono in atto una serie di azioni anomale contro il padre. Gardner considera il concetto di “lavaggio del cervello” troppo limitato (Gardner,1989) per comprendere la manipolazione psicologica che il bambino subisce quando lo si spinge all’ostilità nei confronti del padre non residente.
Mentre le pionieristiche descrizioni di Gardner della PAS danno un importante contributo alla nostra comprensione delle ostilità presenti nei casi di divorzio che coinvolgono i figli, il presente studio riguarda un’anomalia più globale. Come già sottolineato negli esempi dati all’inizio di questo lavoro, nel corso delle cause di divorzio si verificano nei confronti dei mariti attacchi gravi che vanno al di là della semplice manipolazione dei figli. Inoltre queste azioni rivelano l’intenzionalità da parte di alcune madri di violare la legge della comunità. Infine, vi sono alcune madri che hanno costantemente comportamenti malevoli allo scopo di alienare i figli dal padre anche se non riescono a raggiungere il loro scopo. Insomma questi casi non corrispondono ai modelli della PAS, tuttavia indicano un'anomalia grave.
Lo scopo del presente studio è di definire e illustrare questa anomalia più generale con la speranza di provocare una sempre più approfondita analisi scientifica e clinica del problema.
Definizione
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Questa sezione fornisce una definizione iniziale della Sindrome della madre malevola nei casi di divorzio che è stata tratta da casi clinici e giudiziari. Come per tutte le proposte iniziali, si auspica che le ricerche future portino ad un maggiore affinamento dei criteri tassonomici. La definizione proposta abbraccia quattro principali modelli di comportamento, come segue:
Una madre che senza giustificazione punisce il marito da cui sta divorziando o ha divorziato:
tentando di alienare i figli dal padre
coinvolgendo altri in azioni malevole contro il padre
intraprendendo un contenzioso eccessivo
La madre tenta semplicemente di impedire:
le visite regolari dei figli al padre
le libere conversazioni telefoniche tra i figli e il padre
la partecipazione del padre alla vita scolastica e alle attività extracurricolari dei figli
Lo schema è pervasivo e comprende azioni malevole come:
mentire ai figli
mentire ad altri
violazioni della legge
Il disturbo non è specificamente dovuto ad un altro disturbo mentale, pur potendo coesistere con un altro disturbo mentale distinto [illustrazioni cliniche].In questa sezione darò esempi clinici di ciascun punto usando i numeri di riferimento usati sopra.
Poiché i modelli di comportamento dall’1 al 3 sono specifici della Sindrome della madre malevola nei casi di divorzio , darò una serie di esempi clinici. Il quarto punto che riguarda il rapporto della sindrome in esame con altri disturbi mentali sarà discusso in modo più generale.
Modello 1a: L'alienazione dei figli
La gamma di azioni intraprese da parte delle madri per tentare di alienare i figli dal padre è impressionante. Per esempio:
Una madre ha mentito ai figli dicendo che non poteva più comprare il cibo perché il padre aveva speso tutto il loro denaro con le donne nei “topless bar”.
La moglie di un medico ha obbligato il figlio di 10 anni a richiedere i pasti gratis a scuola per fargli credere che il padre li aveva fatti diventare poveri.
Ad una donna che per anni era stata vicina ai bambini nel corso della battaglia legale per la custodia la madre ha chiesto di abbandonare l’atteggiamento di neutralità e di schierarsi dalla sua parte per ”ballare sulla tomba del marito”. Quando l’amica ha rifiutato, la madre ha detto ai figli, mentendo, che la donna aveva una relazione col loro padre.
Comportamenti simili, se coronati da successo, possono portare i figli non solo ad odiare il padre, ma forse a non vederlo per anni. Come ha osservato Cartwright: “Lo scopo del genitore alienante è cristallino: privare il genitore perduto non solo del tempo da trascorrere col figlio, ma anche della sua infanzia”.
Modello 1b: Coinvolgere altri in azioni dolose
La seconda componente del primo modello di comportamento con cui la madre tenta di punire il marito, implica la manipolazione di altre persone da coinvolgere in azioni dolose contro il padre. Esempi di questo tipo sono qui di seguito:
Durante la battaglia legale per la custodia, una madre ha mentito al terapista riguardo al comportamento del padre. Il terapista, che non aveva mai parlato col padre, ha testimoniato davanti al giudice in qualità di esperto esprimendo il parere che la custodia dovesse essere affidata al genitore residente e che il padre doveva sottoporsi a terapia.
Una madre in preda alla rabbia ha spinto i figli adolescenti a lasciare lettere anonime di minaccia nella casa dell’ex-marito.Una madre che aveva perduto la custodia legale dei figli ha indotto la segretaria della scuola del figlio ad aiutarla a rapire il bambino.
Nei casi suddetti è importante rilevare che la persona manipolata dalla madre è stata in qualche modo coinvolta nella rabbia della madre e “alienata” dal marito di questa in procinto di divorziare. La persona “raggirata” assume un tipico atteggiamento di virtuosa indignazione che contribuisce a creare un’atmosfera gratificante per la madre che si appresta ad intraprendere azioni dolose.
Modello 1c: Eccesso di azioni legali
È indubbio che entrambe le parti in causa nelle procedure per il divorzio o per l’affido hanno il diritto di presentare istanze o avviare azioni legali. Tuttavia alcune donne che soffrono della Sindrome della madre malevola nei casi di divorzio tentano di punire il marito con un eccesso di azioni legali.
Una madre bellicosa e irragionevole attaccava verbalmente il marito dovunque lo incontrasse. Col tempo la reazione di lui è stata quella di ignorarla. Allora lei ha portato il suo ex-marito davanti al giudice per obbligarlo a parlarle.
Una madre ha detto al giudice che sua figlia non era figlia del marito.
Una donna si è rifiutata di rinunciare alle continue azioni legali contro l’ex-marito, malgrado numerosi avvocati avessero abbandonato il caso volontariamente o fossero stati licenziati. In tre anni si erano succeduti sette diversi avvocati.
Esistono dati che possono aiutare a determinare la gamma delle azioni legali. Per esempio Koel e altri (1988) riferiscono la frequenza di processi in un campione di 700 famiglie. I loro dati indicano che solo il 12,7% delle famiglie presentano una sola istanza in tribunale dopo il divorzio, mentre meno del 5% presentano 2 o più istanze; meno dell’1% presentano 4 o più istanze.
Modello 2a: Proibizione di visite regolari
Gli esperti sono abbastanza concordi nel ritenere che le visite regolari e ininterrotte al genitore non residente siano auspicabili e benefiche per i figli, tranne in circostanze estreme (Hodges, 1991). In effetti, alcuni stati come la Florida hanno leggi scritte che riflettono questa opinione (Keane, 1990). Purtroppo, anche quando il padre e i figli hanno diritto legale alle visite, madri affette dalla Sindrome della madre malevola nei casi di divorzio continuano a frapporre ostacoli all’esercizio di questo diritto.
Una madre, che aveva in precedenza aggredito fisicamente il marito quando questi andava a prendere i figli, gli ha impedito di prenderli con se anche quando si è presentato con la polizia.Una madre, per impedire al padre di vedere i figli, non si faceva mai trovare in casa quando il marito divorziato andava a trovarli.Una madre ha spinto il suo boyfriend, un tipo dall’aspetto feroce, ad aggredire il marito che era venuto a prendere i figli.
Il presidente dell’Associazione per i diritti del fanciullo (Washinghton,D.C.) osserva che questa alienazione è considerata una forma di violenza sul bambino (Levy,1992). Purtroppo la polizia in genere evita di essere coinvolta in queste situazioni. Inoltre, a meno che il padre vittimizzato non sia finanziariamente in grado di ritornare in tribunale sulla base dei fatti, si può fare poco per impedire questi comportamenti da parte della madre. Infine, persino quando tali fatti vengono portati in tribunale, quest’ultimo è spesso inadeguato ad appoggiare il diritto di visita da parte del padre (Commissione sul pregiudizio legato al sesso nel sistema giuridico, 1992).
Modello 2b: Libere conversazioni telefoniche con il padre
Nei casi di assenza fisica di un genitore il telefono svolge un ruolo importante nel mantenere il legame tra il figlio e il genitore non residente. Alcune madri affette dalla Sindrome della madre malevola nei casi di divorzio compiono una serie di atti volti ad impedire i rapporti telefonici.
Ad un padre che telefonava per parlare con i figli è stato detto che essi non erano in casa, mentre lui sentiva le loro voci in sottofondo.
Un altro padre che chiamava per parlare con i figli è stato lasciato in attesa al telefono senza che nessuno venisse avvertito della telefonata.
Sapendo che il padre era in vacanza, una madre ha spinto i figli a lasciare numerosi messaggi alla sua segreteria telefonica nei quali gli si chiedeva di richiamare immediatamente in caso fosse disponibile per andarli a prendere al di fuori del tempo stabilito per le visite.
Alcuni padri trovano questi tentativi di alienazione così dolorosi che alla fine smettono di telefonare ai figli: semplicemente “mollano”. In uno scenario di sconfitta, l’abbandono del padre (Hodge1991) sfortunatamente raggiunge proprio il risultato che la madre affetta dalla Sindrome della madre malevola nei casi di divorzio si proponeva.
Modello 2c: Impedimento della partecipazione alle attività extracurricolari
Una parte integrante del processo di mantenimento del legame col proprio figlio è la partecipazione alle attività che si svolgevano prima che i genitori si separassero. Attività sportive a scuola, sport di gruppo ed eventi religiosi sono solo alcuni tipi di attività importanti. Le madri malevole spesso adottano manovre atte ad evitare la partecipazione a tali attività.
Ad un padre sono state date volutamente la data e l’ora sbagliate di un evento importante per il figlio al quale la madre ha chiesto:”Chissà perché tuo padre oggi non è voluto venire a trovarti?”
Una madre ha rifiutato di dare al padre informazioni sulle attività extracurricolari in cui erano impegnati i figli.
Prima di una partita di calcio a cui partecipava il figlio, una madre ha raccontato delle falsità a discredito del marito a molti dei genitori degli altri bambini. Quando lui è arrivato per assistere alla partita, molti dei genitori gli lanciavano occhiate irritate, si rifiutavano di parlare con lui e si allontanavano quando lui si avvicinava.
Le madri malevole che hanno questi comportamenti raramente subiscono delle punizioni come conseguenza delle loro azioni. Giudici, avvocati e polizia non possono occuparsi di tutti i casi in cui al padre viene impedito il contatto con i figli. Inoltre la maggior parte dei padri non può permettersi le spese necessarie. Così il ciclo di interferenze nei rapporti tra padri e figli si perpetua.
Modello 3a: Menzogne malevole ai figli
Data la loro condizione evolutiva, i bambini in una situazione di divorzio conflittuale sono piuttosto vulnerabili. Quando un genitore decide di danneggiare l’altro mentendo ai figli, si possono verificare casi di comportamento malevolo come i seguenti:
Una madre in fase di divorzio ha detto alla sua giovanissima figlia che il marito non era il suo padre vero, anche se lo era.
Una ragazzina di 8 anni è stata obbligata dalla madre a consegnare al padre delle fatture non pagate: la madre lo aveva accusato falsamente di non provvedere al sostentamento della famiglia.
Una madre ha raccontato ai figli che il padre in passato l’aveva ripetutamente battuta, cosa assolutamente falsa.
Questi esempi di bugie malevole possono esser confrontate con le manovre più sottili tipiche della PAS, come le “asserzioni virtuali” (Cartwright,1993): la madre che causa la Sindrome da alienazione parentale può insinuare che vi è stata violenza, mentre la madre affetta dalla Sindrome della madre malevola afferma falsamente che vi è stata effettivamente violenza.
Modello 3b: Menzogne malevole agli altri
È possibile che delle madri affette dalla Sindrome della madre malevola nei casi di divorzio coinvolgano un numero considerevole di persone nei loro attacchi contro l’ex-marito. Tuttavia, nel caso di questo particolare modello, il soggetto affetto dalla sindrome mente esplicitamente ad altre persone nel conflitto contro il marito.Ecco alcuni esempi:
Una madre furente ha chiamato al telefono il presidente del luogo in cui il marito lavorava (1500 impiegati) sostenendo falsamente che questi usava beni dell’azienda per guadagno personale e che usava violenza ai figli sul luogo di lavoro.
Una donna ha mentito a dei funzionari statali sostenendo che l’ex-marito abusava sessualmente della figlia.
Nel corso delle procedure per l’affido, una madre ha mentito al tutore che stava svolgendo indagini sulle capacità genitoriali di ciascun genitore, riferendogli che il padre le aveva usato violenza.
Snyder (1986) ha scritto delle difficoltà che le autorità legali incontrano quando si trovano di fronte qualcuno che è un ottimo bugiardo. Le ricerche concordano sull’incapacità degli specialisti di scoprire la menzogna (Ekman e O’Sullivan,1991) e sulla capacità di un abile bugiardo di testimoniare in tribunale in modo persuasivo (Snyder, 1986). Snyder (1986) rileva che la menzogna patologica (Pseudologia Fantastica), per quanto talvolta si riscontri in personalità “borderline”, non è limitata a quel particolare disturbo della personalità.
Modello 3c: Violazioni della legge per danneggiare il marito
La battaglia contro il marito da parte delle donne affette da Sindrome della madre malevola nei casi di divorzio non ha praticamente alcun limite. Le violazioni della legge sono comuni in molti casi, anche se di solito si tratta di infrazioni relativamente non gravi. Tuttavia in alcuni casi le violazioni sono abbastanza serie.
Una madre ha intenzionalmente spinto la sua automobile contro la casa dell’ex-marito nella quale risiedevano i loro figli.
Nel corso della battaglia per la custodia legale dei figli, una donna si è introdotta nella residenza del marito ed ha trafugato dei documenti importanti.
Una madre furibonda ha telefonato ad una televisione cristiano-evangelica ed ha offerto 1.000 dollari a nome del marito ebreo del quale ha fornito indirizzo e numero telefonico.
Gli esempi suddetti possono richiamare alla mente del lettore certi disturbi della personalità (per es. antisociale, “boderline”, sadica); tuttavia questi comportamenti si possono riscontrare anche in donne affette da Sindrome della madre malevola che non sembrano conformarsi ai modelli diagnostici ufficiali del disturbo di tipo Axis II. Inoltre nessuna delle madri malevole coinvolte nei casi menzionati ha subito una condanna dal giudice per il suo comportamento.
Modello 4: Comportamento non dovuto ad altro disturbo
Nel valutare la Sindrome della madre malevola nei casi di divorzio, è importante notare che molti dei suddetti casi clinici sembrano essersi verificati in soggetti che non avevano ricevuto una diagnosi o cure precedenti per disturbi mentali. Anzi una madre che aveva un comportamento estremamente malevolo nei confronti del marito, in fase di divorzio ha presentato molti testimoni, specialisti di salute mentale, che hanno asserito che non soffriva di alcun tipo di disturbo mentale.
Secondo l’esperienza dell’autore, per ogni disturbo mentale che possa venire in mente per spiegare una parte di questo comportamento, vi è sempre un caso eccezionale. Per esempio in alcuni casi può essere appropriata una diagnosi di disturbo di adattamento: tuttavia vi è il caso di una donna che, ancora 10 anni dopo il divorzio, continuava a negare al diritto di visita. Altri casi potrebbero suggerire come possibile diagnosi un disturbo della personalità: ma vi è il caso di una donna che ha ripetutamente violato la legge con continui attacchi contro il marito e nei confronti della quale specialisti di alto livello non hanno mai riscontrato disturbi della personalità. In alcuni casi si potrebbe prendere in considerazione la diagnosi di disturbo esplosivo intermittente, ma in alcune madri la rabbia non appare intermittente.
Infine il lettore dovrebbe rendersi conto che, da una parte non sempre l’accuratezza della diagnosi per certi disturbi psichiatrici è quella ci si aspetterebbe (per es. i disturbi della personalità, vedi Turkat,1990), dall’altra il problema è reso più grave nel diritto di famiglia quando a volte vengono coinvolti nel processo degli esperti di salute mentale incompetenti (Turkat, 1993). Chiaramente il rapporto tra la Sindrome della madre malevola e altri disturbi mentali è complesso e richiede indagini significative.
Discussione
La descrizione precedente della Sindrome della madre malevola nei casi di divorzio solleva una molteplicità di problemi clinici, legali e scientifici importanti.
Sotto l’aspetto clinico le famiglie in cui si manifesta la sindrome sono soggette a gravi episodi di stress e angoscia. Tuttavia non vi è chiarezza scientifica su come curare il fenomeno. Questa è particolarmente compromessa dal fatto che molti dei soggetti che sembrano conformarsi ai modelli diagnostici proposti negano che vi sia in loro qualcosa di anomalo.
Un’ulteriore difficoltà è causata dal fatto che molti terapisti non sono consapevoli di questo schema di comportamento malevolo (Heinz e Heinz, 1993). Così vi sono terapisti che vengono ingannati nel trattare questi casi e, come è stato osservato prima, testimoniano in tribunale che non vi è niente di anomalo nel comportamento della madre coinvolta.
Sotto l’aspetto legale ci sono avvocati che possono, involontariamente, incoraggiare questo tipo di comportamento (Gardner, 1989). D’altro canto vi sono anche avvocati che incoraggiano intenzionalmente questo comportamento in quanto ne ricavano un tornaconto che è legato alla durata dell’azione legale. In altre parole, più è complesso il processo, maggiore è il profitto per l’avvocato. (Grotman e Thomas, 1990). Tuttavia, anche per la sottospecie di avvocati per cui ciò può valere, vi è un momento in cui il profitto diminuisce. Inoltre, a prescindere da considerazioni economiche, molti di coloro che hanno a che fare con i tribunali che giudicano le cause che coinvolgono la famiglia, trovano che questi casi sono affrontati in modo non corretto. (Greif, 1985; Levy,1992).
Nessuna donna che abbia questo tipo di comportamento perde il diritto all’assegno di mantenimento, a meno che non sia affetta da turbe così gravi da perdere la custodia dei figli; e non va neppure in prigione. Così molti clienti denunciano una notevole frustrazione quando essi e i loro figli sono esposti a questo tipo di comportamento, e sembra che i tribunali facciano ben poco.
In una rassegna di scritti giuridici sul pregiudizio nei confronti degli uomini nei procedimenti legali Tillitski (1992) conclude che vi è una diffusa discriminazione. Questa è bene illustrata dall’affermazione di un giudice di processi relativi a controversie familiari che ha detto: “Non ho mai visto i vitelli seguire i buoi, seguono sempre la mucca; perciò io do sempre la custodia alle mamme.” (Commissione d’indagine sul pregiudizio legato al sesso ne sistema giudiziario, 1992, pag.741). Analogamente, si nota che il rigore che viene applicato per far rispettare l’ordinanza relativa all’assegno di mantenimento, non viene invece esercitato nel far valere il diritto di visita da parte del padre. (Commissione d’indagine sul pregiudizio legato al sesso nel sistema giudiziario, 1992). In conseguenza di questi pregiudizi contro gli uomini nella procedura del diritto di famiglia alcuni padri diventano senza volerlo vittime relativamente inermi del sistema (Tilletski, 1992). Questa situazione sembrerebbe rafforzare il comportamento doloso messo in atto da donne che soffrono della Sindrome della madre malevola nei casi di divorzio.
Certo occorre affrontare il problema dell’incidenza del disturbo secondo il sesso. La schiacciante maggioranza dei genitori affidatari sono donne (Commissione d’indagine sul pregiudizio legato al sesso nel sistema giudiziario, 1992). Gardner (1989) ha notato che la PAS si presenta più comunemente nelle donne, anche se è possibile che un uomo a cui è stata affidata la custodia dei figli abbia lo stesso tipo di comportamento alienante. L’esperienza dell’autore, relativa alla Sindrome della madre malevola nei casi di divorzio, è simile a quella di Gardner, ma chi scrive non ha ancora trovato un solo caso di padre che abbia assunto uno dei comportamenti elencati sopra. Ciò non significa che non ci sia la possibilità che la sindrome del ”padre malevolo” esista. Anzi Shephard(1992) riferisce che esistono dei casi significativi di violenza nei confronti di alcune madri affidatarie da parte di padri non residenti. D’altro canto si deve osservare che non si riscontrano finora casi di madri inadempienti, nei casi in cui spetta a loro l’onere del mantenimento dei figli. Dato che fino ad oggi non sono stati documentati casi in cui il padre assume tutti gli atteggiamenti corrispondenti ai modelli della Sindrome della madre malevola nei casi di divorzio mi sembra consigliabile attendere riscontri scientifici che possano guidare nella scelta di etichette di carattere nosologico.
Qual è la diffusione della Sindrome della madre malevola nei casi di divorzio? Non abbiamo una risposta. Gardner (1989) riferisce che circa il 90% delle controversie per la custodia implicano aspetti di alienazione parentale. Inoltre Kressel (1985) ha esaminato dei casi che indicano che addirittura il 40% delle madri a cui è stata affidata la custodia hanno impedito al padre di visitare i figli allo scopo di punirlo. Arditti (1992) ha riferito dei dati connessi: il 50% di un campione di 125 padri indicava che la madre intralciava le loro visite ai figli. Aspetti di alienazione parentale possono essere comuni, ma è estremamente improbabile che una tale percentuale di madri a cui sono stati affidati i figli rientrerebbe in tutti i modelli della Sindrome della madre malevola nei casi di divorzio.
Per quanto riguarda l’incidenza, dal nome della sindrome sembrerebbe che il comportamento malevolo sia accelerato dal processo di divorzio. Tuttavia questa è una questione empirica. Le azioni malevole possono essere notate durante il processo di divorzio, ma è possibile che il comportamento malevolo fosse preesistente, anche se nascosto. Questa ipotesi è suffragata dalle ricerche sul conflitto parentale precedente al divorzio (Enos e Handal, 1986). Infatti può anche accadere che vi siano casi di disturbi mentali che non vengono scoperti finché non interviene lo stress del divorzio.
Infine si deve osservare che cominciano ad apparire ricerche sul funzionamento della famiglia dopo il divorzio. Esistono dati sul ruolo del conflitto parentale nei confronti del comportamento dei figli dopo il divorzio (per es. Frost e Parkiz, 1990; Furstenberg e altri, 1997; Healy, Malley e Stewart, 1990; Kurdek, 1988), ma non sono ancora apparsi studi sui casi più estremi di Sindrome da alienazione parentale e Sindrome della madre malevola nei casi di divorzio.
La Sindrome della madre malevola nei casi di divorzio rappresenta un importante fenomeno sociale. Il disturbo coinvolge bambini, genitori, avvocati, giudici, tutori, operatori psichiatrici e altri. Finché il fenomeno non viene esplorato più accuratamente nella letteratura scientifica e clinica, i problemi causati da persone affette dalla Sindrome della madre malevola nei casi di divorzio continuerà ad affliggerci. Si spera che questo scritto stimoli la ricerca così da rendere possibile lo sviluppo di linee di orientamento per la gestione clinica e legale del problema.

LA SINDROME DI STOCCOLMA

La sindrome di Stoccolma è una condizione psicologica nella quale una persona vittima di un sequestro può manifestare sentimenti positivi nei confronti del suo sequestratore, arrivando ad instaurare con lui anche un forte legame affettivo, in alcuni casi fino all'innamoramento.
Prende il nome dalla capitale svedese, 1973, a seguito di una rapina in banca, i dipendenti presi in ostaggio richiesero la clemenza alle sequestratori.
La sindrome di Stoccolma è talvolta citata in riferimento ad altre situazioni simili, quali le violenze sulle donne e gli abusi sui minori.

Origini del nome
La sindrome deve il suo nome alla rapina della "Kreditbanken" di Stoccolma nel 1973, in cui alcuni dipendenti della banca furono tenuti in ostaggio dai rapinatori per sei giorni. Le vittime provarono una forma di attaccamento emotivo ai loro sequestratori fino a giungere al punto di prendere le loro difese in seguito alla liberazione. Il termine fu coniato dal criminologo e psicologo Nils Bejerot, il quale aiutò la polizia durante la rapina. Fu usato per la prima volta durante una trasmissione televisiva.

Casi celebri
Patty Hearst aiutò il SLA durante una rapina in banca due mesi dopo il proprio rapimento
La ricca ereditiera Patty Hearst, dopo essere stata rapita dal Symbionese Liberation Army nel febbraio del 1974, prese parte ad una rapina in banca insieme a due dei suoi rapitori due mesi dopo. Fu arrestata nel settembre del 1975 ma la sua difesa non riuscì a far valere la tesi della mancanza di colpevolezza a causa della manifestazione della sindrome di Stoccolma
Elizabeth Smart fu rapita e stuprata da un uomo affetto da malattie mentali che la considerava sua moglie: tra il 2002 ed il 2003 la Smart trascorse diversi mesi insieme al suo aguzzino senza alcuna costrizione fisica.

Casi dubbi
Natascha Kampusch ha vissuto segregata col suo rapitore (Wolfgang Priklopil) dal marzo 1998 al 23 agosto 2006, giorno in cui è scappata. Ha testimoniato di avere avuto più volte la possibilità di scappare, ma ha preferito restare col rapitore. Il motivo della fuga, infatti, non è stato un desiderio di libertà, ma un litigio col rapitore stesso. Agli investigatori e agli psicologi che si prendono cura di lei ha testimoniato dicendo che non si sentiva privata di niente e che è dispiaciuta della morte del suo rapitore (che si è suicidato dopo che era scappata). La ragazza, però, intervistata dalla televisione austriaca il 6 settembre 2006, ha smentito le voci sulla sua presunta "sindrome di Stoccolma", aggiungendo di non aver mai rinunciato alla fuga. Ha solo manifestato pietà per il rapitore suicida e per la sua famiglia. In seguito a questa intervista, che ha fatto il giro del mondo, il filosofo e psicoanalista italiano Umberto Galimberti, in un articolo apparso sulla prima pagina de La Repubblica del giorno dopo ("Una vita sospesa"), ha escluso che quello della ragazza austriaca sia un caso di "sindrome di Stoccolma".

Incidenza
Dalla banca dati dell'FBI americana risulta che il 92% degli ostaggi non ha mai mostrato sintomi della sindrome di Stoccolma [1].
Riferimenti nella cultura popolare
Film e televisione
Nelle tre serie di Law and Order
Buffalo '66
Matlock: The Kidnapping
Quel pomeriggio di un giorno da cani
Agente 007 - Il mondo non basta; James Bond (Pierce Brosnan) smaschera la bella Elektra King (Sophie Marceau) accusandola di essersi alleata con il "cattivo" di turno, Renard, che la aveva sequestrata tempo prima, avendo acquisito proprio la sindrome di Stoccolma.
Guerrilla: The Taking of Patty Hearst
Six Feet Under, episodio 44 (That's My Dog).
In Die Hard, un medico in una trasmissione televisiva descrive un fenomeno identico chiamato "sindrome di Helsinki".
In Viaggio senza ritorno del 1997 una coppia interpretata da Kevin Pollak e Kim Dickens è presa in ostaggio da Vincent Gallo e Kiefer Sutherland; l'uomo simpatizza con i propri rapitori.
Azione mutante, film di Alex de la Iglesia prodotto da Pedro Almodovar. La sposa rapita Patricia Orujo si innamora del capo dei rapitori, Ramon Yarritu, il quale riconosce la sindrome di Stoccolma.
Nell'episodio 14 della terza serie di Nip/Tuck dal titolo Cherry Peck.
In Il portiere di notte, celebre film di Liliana Cavani, la protagonista instaura un rapporto ossessivo e indissolubile con l'uomo che la teneva prigioniera nel campo di concentramento durante la seconda guerra mondiale.

Musica
Un gruppo rock di Toronto si chiama Stockholm Syndrome
Il gruppo musicale Muse ha composto una canzone intitolata Stockholm Syndrome, inserita nell'album Absolution del 2003
La cantante americana Dory Previn, lei stessa vittima di abusi da bambina, ha scritto una canzone intitolata With My Daddy in the Attic che affronta la sindrome di Stoccolma.
I Yo La Tengo hanno una canzone intitolata Stockholm Syndrome nell'album I Can Hear The Heart Beating As One.
I blink-182 hanno una canzone dal titolo Stockholm Syndrome nel loro album blink-182.
La band punk rock svedese Backyard Babies ha realizzato un album dal titolo Stockholm Syndrome.