domenica 18 febbraio 2007

Tratto dal libro “Quando i genitori si separano” di Françoise Dolto

I RAPPORTI CON I NUOVI PARTNER DEI GENITORI


Perché il bambino continui a maturare quando uno dei genitori divorziati vive con un’altra persona, è necessario che il nuovo partner risulti simpatico al bambino?
La situazione varia a seconda del bambino e a seconda del partner. Che il primo percepisca il secondo con piacere oppure con dispiacere, è cosa alquanto irrilevante per l’inconscio. Per l’inconscio del bambino, la cosa veramente necessaria è che ci sia un adulto ad impedirgli di avere un’intimità totale con il genitore. Questo nuovo compagno del genitore gli permette di vivere l’Edipo, se non lo ha vissuto tra i suoi due genitori perché questi si sono separati troppo presto; oppure gli permetterà di viverne una nuova variante, con i relativi conflitti affettivi di amore/odio, che riguardano in modo contraddittorio e in modi diversi quei due adulti, al tempo stesso modelli e rivali per lui.

Quali sono gli scogli principali nei rapporti tra il patrigno o la matrigna da una parte e il bambino dall’altra?
Secondo me, gli scogli non sono dalla parte del bambino; le difficoltà possono provenire da sua madre – gelosa, ad esempio, del fatto che il secondo matrimonio dell’ex marito sia fecondo e del fatto che suo figlio voglia bene alla rivale vincente. Questo può accadere anche se la madre si è risposata e ha avuto nuovamente dei figli.

Penso ad un caso che mi pare illustrare perfettamente quanto hai appena detto. Si tratta di un maschietto di quattro anni: i suoi genitori si erano separati mantenendo, all’apparenza, dei buoni rapporti. Lui viveva con la madre. Il padre si era risposato. Dopo la nascita del primo figlio di questa nuova coppia, la madre di questo piccolo ha rifiutato bruscamente, e senza alcuna spiegazione, di mandarlo dal padre per i week-end. Il bimbo ha cominciato allora a soffrire di otiti a ripetizione e, simultaneamente, di una specie di debolezza alle gambe, come se avesse perduto un appiglio.
Un altro scoglio può presentarsi se cambia l’atteggiamento del padre di un bambino quando questi ha un figlio dalla sua nuova compagna. Il figlio del primo matrimonio può ricordargli qualcosa dell’atmosfera dolorosa degli anni in cui fu costretto a rompere. Reciprocamente, lui stesso verrà percepito all’improvviso come molto esigente – spesso a ragione – dal bambino.
Le difficoltà in queste situazioni non provengono dal bambino. Può essere aiutato a superarle quando incontra abbastanza “psicologhe” da fargli capire le difficoltà provocate con ogni probabilità, nei due genitori, da una nuova nascita (di un fratellastro o di una sorellastra).

Quando, senza risposarsi, un genitore riprende una vita di coppia con un nuovo partner, quali possono essere gli effetti delle presenza di quest’ultimo sul bambino?
Si tratta di una situazione triangolare che non è legalizzata. In ogni modo, il bambino ha bisogno che diversi adulti, di sessi differenti, si occupino di lui dai due anni e mezzo, tre anni, i poi. Anche quando è piccolissimo, è felice di vedere diverse immagini di uomini e donne.
E’ meglio che un bambino dica: “Io ho tre papà”, piuttosto che: “La mia mamma vive da sola, io non ho un papà”. A condizione che egli sappia per conto suo di avere un padre, che forse non conosce e che è unico, occorre dargli la libertà di parola di dire: “Ho tre papà”. Sarà una autodifesa nei confronti della curiosità dei suoi compagni. In ogni modo, la madre deve dirgli: “Hai un padre come tutti, solo che tu non lo conosci”. Ma chiamare tre persone “papà” è meglio che non avere un “papà” né un padre di nascita, noto o ignoto. Un papà non è obbligatoriamente il padre, genitore, il padre legale o adottivo. Si possono avere anche più madri, ma si ha sempre solo una madre di nascita, nota o ignota.

Hai appena detto che un papà non è obbligatoriamente un padre naturale, legale o adottivo. Questo mi ricorda una storia riportata dalla stampa. Una ragazzina chiama “papà” il nuovo partner della madre. Suo padre aspetta che lei abbia sette anni per spiegarle che lui è il padre, e che lei quindi deve chiamarlo “papà”. Non appena torna la madre, e in presenza del padre, chiama l’amico della madre “il mio caro papà”. E’ l’ultima volta che rivedrà suo padre: questi non tornerà più.
Chiama “papà” l’amico della madre; perché no? Uno che pensa che la legge venga fatta dalla figlia, fino al punto di concludere che questa figlia gli ritira il diritto di essere padre mentre lei ha parlato solo di papà, è veramente un padre fragile! Questo prova che quel che dice la figlia è la sua verità: quel padre non si è comportato da padre.

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“Io e mia sorella non vogliamo che tu ti risposi”, dicono certi bambini alla madre.
Costei può rispondere solo: “Non mi sposo per farvi piacere oppure per farvi arrabbiare. Mi sposo perché mi è necessario. Io amo un uomo, e voglio vivere con lui. E’ davvero un peccato che questo non vi faccia piacere, ma voi non siete obbligati a vivere con noi”.

Se la madre obbedisce ai figli, quali possono essere le conseguenze?
I figli che parlano così restano spesso bambini a lungo, perché la madre ha obbedito loro come se fossero i portavoce di una legge infantile, che sarebbe nel cuore di ogni donna: amare un unico uomo (questa credenza deriva forse dal fatto che ognuno di noi ha solo un padre e solo una madre, anche se può avere molti papà e molte mamme). Nel primo esempio, era la figlia a dettar legge al padre; in questo secondo esempio, è la figlia a dettar legge alla madre.
La cosa terribile per questi figli è che spesso, alcuni anni dopo, la madre dice loro: “Mi sono sacrificata per voi, per voi non mi sono risposata”. La loro vita viene a trovarsi come paralizzata da un’embolia dovuta al senso di colpa: la circolazione degli affetti e la corrente lipidica vengono impedite. Di fatto, avranno la madre a carico per il resto della vita, anche se saranno capaci di evolversi e di sposarsi.

All’inverso, certi figli chiedono alla madre, al padre di risposarsi: “Perché non ti sposi con il mio maestro?”, chiedeva un ragazzino di sei anni alla madre. La madre di una ragazzina di quattro anni e mezzo se n’era andata di casa; la ragazzina diceva alla sua maestra: “Perché non vieni a passare il week-end con il mio papà?”.
Sono bambini che vorrebbero essere liberati dalla violenza delle loro pulsioni incestuose nei confronti del genitore con cui vivono; questo perché quel genitore pare non aver bisogno di adulti e si ripiega sul bambino; più spesso ancora, perché l’adulto vive di nuovo dal proprio padre o dalla propria madre – dalla nonna paterna se è il padre; dalla nonna materna se è la madre. Questa regressione del padre o della madre allo stato infantile ai loro occhi ne blocca l’evoluzione.
Capita che il genitore continuo abbia una relazione all’esterno e che non lo dica al bambino. E’ un peccato, perché, per potersi sviluppare, il bambino ha bisogno di parole che lo rassicurino appunto su questo: che l’adulto ha una relazione privilegiata con un altro adulto.

Esistono madri che concedono un largo dovere di visita al loro ex marito per ricevere il loro amante in assenza dei figli.
E’ una buona cosa, ma lo dicono sempre ai figli. La parola che occorre dir loro è “fidanzato”. La madre può aver molti “fidanzati”; il bambino, da parte sua, ha bisogno di avere una parola. Lei deve spiegargli che quella parola significa: “Forse ci sposeremo. Nell’attesa, non so ancora bene. Io e un signore [“io e una signora”, se è il padre a parlare di una “fidanzata”] ci amiamo. Se la cosa diventa seria, ne verrai informato”. I bambini hanno bisogno di disporre dei termini classici. “Fidanzato” è una cosa diversa da “amico”. Per un bambino, è una parola che significa una promessa di matrimonio. “Amico”, per lui, significa “compagno [di giochi]”, un termine che non comprende la dimensione sessuale, mentre è il contrario per un adulto. Quando una donna dice: “Ho un amico”, la gente crede che si tratti di un amante.
Per tornare al bambino che chiede alla madre di sposare il maestro di scuola, esistono madri che sposano l’insegnante del figlio proprio in seguito a questa richiesta.
“Dato che lui gli vuol tanto bene, perché no?” E’ un’idiozia!

E’ utile che il patrigno (la matrigna) ricordi al bambino di non essere suo padre (sua madre)?
Bisogna tener conto del contesto nel quale il bambino ha vissuto con i suoi genitori, in particolare se questi continuano ad avere grosse difficoltà nelle relazioni. In certi casi, potrebbe essere necessario che il patrigno (o la matrigna) possa dire: “Io non ho niente contro tuo padre [tua madre]”; e:”Non ce l’ho con te perché sei suo figlio [sua figlia] e nemmeno perché gli [le] assomigli”. Si può sempre dire al bambino: “Hai un padre solo, quello che ti ha concepito, ma io sono disposto ad essere il tuo papà”; “Tu hai una madre sola, quella che ti ha concepito, ma io sono disposta ad essere la tua mamma”.
Le situazioni difficili con il patrigno o con la matrigna derivano molto spesso dal genitore con cui il bambino vive, per lo più la madre, più di rado il padre. Si direbbe che il genitore con cui il bambino vive non accetta bene i diritti che il suo nuovo coniuge si arroga quanto al suo ruolo educativo nei confronti del figlio di primo letto. Il bambino si accorge di questa ambivalenza. Quando lui si ribella alle parole del patrigno che limitano la sua libertà, oppure a certe espressioni critiche da parte della matrigna, sente che il suo genitore se ne avvantaggia. Se il genitore di nascita non è ambivalente e se, per esempio, si allontana dalla stanza per lasciare il suo nuovo coniuge tranquillo con il bambino, le cose possono sistemarsi molto rapidamente. Analogamente, se il bambino si lamenta con il padre: “Sì, si lo so che lei non può vedermi” – oppure con la madre: “Il tuo amante non mi può vedere” – il genitore di nascita può rispondere: “Se devi proprio fare storie, non ti potrò tenere con me, te ne andrai. – Sì, ma mio padre [madre] non mi vuole. – Non ci sono solo il padre e la madre, esistono delle soluzioni esterne”. E ci si accorge allora che quelle tensioni sono un tentativo di regressione ad una relazione in cui il bambino cerca ancora di dominare il genitore di sangue con cui vive.
Può darsi che lo statuto del bambino nei confronti del nuovo coniuge non sia chiaro, che non sia stato esposto logicamente e cono affetto da parte del genitore contiguo. Il bambino vive allora una specie di fluttuazione, se il padre, per esempio, non gli ha detto, parlando della nuova moglie: “E’ la tua matrigna, lei si è presa la responsabilità di educarti. Dal momento che sei a casa mia, penso proprio che la tua matrigna abbia voce in capitolo perché lei è a casa sua”. La matrigna diventa credibile agli occhi del bambino perché il padre le offre il suo appoggio simbolico. Si sentono sempre le madri dire al loro nuovo coniuge: “Non è tuo figlio, allora lascialo in pace”. Il patrigno non è credibile perché la madre non lo rende credibile.

Tuttavia può succedere che il bambino, forse a ragione, sopporti male il nuovo partner, che lo senta ostile.
Se è consapevole di questa ostilità e se può dirla, sarebbe bene che la madre, se è di lei che si tratta, gli dica: “Sei troppo infelice da quando vivo con Tizio. Potresti forse parlarne con tuo padre. Se vuoi vivere con lui, sarai costretto a lasciare la tua scuola, i tuoi compagni. Se lui accetta, e se la nuova moglie accetta, dovremo richiedere una modifica al giudice delle questioni matrimoniali. Se tuo padre rifiuta e se le cose non vanno meglio per te, cercheremo di sbrogliarcela per trovarti una buona sistemazione”. Se la madre non osa parlare al figlio o alla figlia, può farlo un’altra persona, per esempio il medico di famiglia.

Certe donne restano amiche esclusivamente di altre donne; talvolta sempre della stessa; analogamente, certi uomini stringono amicizia solo con altri uomini oppure con uno solo. Quali possono essere le ripercussioni di questa situazione sul bambino?
I bambini sanno che una coppia di donne o una coppia di uomini non può dare bambini. Dunque è una scelta, e occorre che sia chiaro questo: che è una scelta della madre o del padre, a seconda dei casi. Occorre che la madre o il padre lo dica e non lo nasconda, affinché il bambino abbia una spiegazione logica.

Oggi, non è necessario essere omosessuali per non avere bambini. Basta prendere la pillola.
Infatti. Ma le donne che prendono la pillola rischiano di apparire agli occhi dei loro figli come persone che hanno un potere mutilante o distruttore se il senso della contraccezione non viene loro chiaramente spiegato.
Quando le madri dicono: “Non voglio rischiare di avere altri figli, per questo prendo la pillola”, è già diverso. E’ certo che il fatto di essere tirato su da un adulto omosessuale appare una forma di regressione agli occhi del bambino, a paragone di ciò che questo adulto era prima, dato che ha avuto quel bambino.

La moltiplicazione delle separazioni legali, dei matrimoni successivi e dei cambiamenti di partner che questi implicano, permette ai bambini, si dice, di vivere là dove loro aggrada e di scegliere, al di fuori delle costrizioni tradizionali, i “genitori”, i “fratelli”, le “sorelle” che preferiscono.
Non sono d’accordo che si parli di scelta: si tratterebbe di criteri di gradimento o di non gradimento consci. Quando i genitori si separano, le difficoltà incontrate dal bambino nel suo sviluppo sono di ordine inconscio; gli effetti non si vedono nell’immediato, ma anni dopo. E’ la dinamica dell’inconscio.